Abbiamo intervistato Federica De Paolis che ha condiviso con noi alcune interessanti riflessioni sul suo romanzo autobiografico “Da parte di madre”
Intervista n. 200
Come prima domanda le chiederei di presentarci il suo ultimo romanzo “Da parte di madre”.
È un romanzo autobiografico che abbraccia trent’anni di vita, quella con mia madre. È il racconto di una maternità complicata, per certi versi anomala eppure felice. Il libro è diviso per capitoli, ognuno di questi titola con il nome di una via dove abbiamo abitato. La storia inizia quando io sono adolescente ma poi torna indietro, agli anni della infanzia – i sette per la precisione – quando mio padre è andato via. Si susseguono i traslochi, mia madre attraversa due grandi storie sentimentali mentre io cresco con qualche difficoltà e mi approccio alla vita adulta. È un libro sull’identità, l’amore, l’inversione di ruoli, la reciprocità, la cura, le macchine, un cane, il cancro, la tenacia, l’abbandono. L’incredibile storia di una madre e una figlia. Poiché questo legame ha sempre qualcosa di incredibile e imprescindibile.
Quale è stata la spinta che l’ha portata a realizzare quest’opera
Ho scritto questo romanzo la prima volta, vent’anni fa. È stato letto dalle grandi case editrici, che lo hanno attenzionato e declinato, definendolo acerbo ma interessante. Lo era, acerbo. Ho cercato di riscriverlo una decina di anni dopo. Ho trovato un editor e abbiamo provato a mettere nero su bianco la storia, eppure avevo la nettissima sensazione che stessimo battendo contro un muro. Ho interrotto il lavoro a circa un terzo della stesura. Non trovavo la voce, mi mettevo sulle pagine sfiancata, non sapevo assolutamente come gestire la materia. Eppure sapevo di voler scrivere questo libro, e spesso qualcuno inerente al mondo letterario mi chiedeva: “Ma poi, il romanzo su tua madre, non lo scrivi…?” Dopo altri dieci anni, sono tornata. Su suggerimento sono partita da un oggetto. L’oggetto era la segreteria telefonica. Una volta visualizzata quest’immagine, è venuto tutto facile. La struttura divisa in case. La voce più lieve, un andante allegro a mio avviso. Un disincanto nella drammaticità. L’elemento nuovo, ero io. Passare la storia attraverso i miei occhi: quelli di una bambina, la ragazza, infine la donna. Ero (sono io) il cacciavite a stella di questa narrazione. È stata un’immersione verticale, molto ragionata e ponderata, dove la scelta esiziale è stata quella di sistemare i ricordi, tenere una temperatura alta, non dimenticare mai il lettore mentre parlavo della mia vita. Scrivere della verità è un movimento inverso alla fiction: bisogna sottrarre, trovare la gemma preziosa nella quotidianità, nel mare magnum della memoria. Un’infinità di tempo mi ha permesso di lavorare con grande fluidità e slancio. A un certo punto, più di tutto, ho sentito che era arrivata la voce. E questa voce abbracciava tutto.
Possiamo vederlo come una sorta di romanzo di formazione sia di lei e sua madre sia del vostro rapporto?
Assolutamente sì.
Una curiosità che mi è venuta leggendo il suo libro è il fatto che la gran parte dei personaggi maschili non siano chiamati per nome ma per una caratteristica fisica/caratteriale. Qual è il motivo di tale scelta?
Non sono solo i personaggi maschili ad avere quel tipo di appellativo, i personaggi di questo romanzo rievocano delle sensazioni, dei momenti di vita, appartengono a dei capitoli emotivi. Rappresentano qualcosa, il Selvaggio è un amore brutale, il Fisico al contrario un amore che si fonda sull’unione dei corpi ma non delle anime. Lo stesso vale per il Gigante, il mio primo fidanzato che per me ha le sembianze di un uomo grandissimo (il primo amore è sempre immenso), che si contrappone al Ragazzodoro: educato, dolcissimo ma al contempo per nulla passionale. Sono momenti sentimentali che quasi ogni donna attraversa nella propria vita, ai quali volevo dare uno spazio.
Quanto è difficile condividere una parte cosi fondamentale della propria vita?
Non è stato difficile per me, ho lottato anni per scrivere questa storia ma non avevo nessuna reticenza nel raccontarla, il problema era trovare la forma. È un libro che incontra il favore dei lettori perché nonostante la sua peculiarità parla del rapporto madre- figlia che è assolutamente universale. Il punto era trovare la chiave per farlo. Sono incredibilmente felice del risultato, ricevo centinaia di messaggi di madri e figlie che si specchiano nella storia e mi ringraziano. Credo che per uno scrittore non ci sia risultato più emozionante.
Trovo che la sua narrazione sia un po’ come un quadro, con tante pennellate che pian piano, pagina dopo pagina, delineano lo scenario completo, con le sue zone di luce e ombra, arrivando a rappresentare anche l’anima dei soggetti rappresentati, condivide?
Condivo e sono felice di sentirmi dire questo. L’intento era proprio quello di creare delle sfaccettature umane, dei personaggi tridimensionali che avessero un corpo ma anche un’identità, soprattutto che avessero un cuore.
Guardando al suo curriculum letterario la dimensione familiare con le sue ombre, contraddizioni e dinamiche è un tema ricorrente, quali sono gli aspetti o le sfide la spingono a entrarci in modo tanto profondo?
La famiglia coinvolge tutto. Rappresenta l’unione e la sfida di molti esseri umani. È una dimensione complessa fatta di verità, bugie, omissioni, complicità, amore, odio, e molto altra ancora. Da un punto di vista narrativo è uno dei temi più interessanti che si possano abbracciare. C’è una frase di un libro di Christa Wolf che dice: “Una famiglia è un’accolita di persone di età e di sesso diversi tese ad occultare rigorosamente imbarazzanti segreti comuni”. Condivido pienamente. Per me resta uno dei soggetti più interessanti che ci siano, penso che continuerò a indagare questo tema.
Una domanda forse scomoda ma se guarda al suo percorso narrativo quale opera si sentirebbe di consigliare per conoscerla?
Per conoscere me intesa come la mia persona, direi senz’altro “Da parte di madre”, quanto alla romanziera ogni libro racconta un universo che ha acceso la mia curiosità, quindi in qualche modo mi appartiene.
Un’ultima domanda, ringraziandola per la sua disponibilità, riguarda il mondo dei Social, una piattaforma di condivisione e spesso di giudizi anche severi. Qual è il suo rapporto con questa dimensione?
Non mi piacciono. Li utilizzo quando sono in promozione per il libro. IG funziona meglio rispetto Facebook che ormai è considerato un social di vecchia generazione, eppure lì posso ancora condividere dei pensieri o delle storie, insomma preferisco le parole alle immagini. Ma ormai siamo affidati alle immagini perché non avendo trovato l’esperanto e fondandoci su una società globalizzata scattiamo foto (spessissimo patinate e artefatte) e troviamo una via di comunicazione. Io non ho voglia di raccontare cosa mangio o dove vado al mare, e ho tanta paura per i miei figli che passano le giornate a testa china, ingoiati negli i phone. Se potessi cancellare i social con una bacchetta magica lo farei, sono di un’altra epoca: io amo ancora le lettere, i vinili, le attese, la privacy.
Intervista di Enrico Spinelli
DA PARTE DI MADRE – Federica De Paolis
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