UNA DONNA NELLA NOTTE POLARE, di Christiane Ritter (Keller)
Christiane Ritter, moglie, madre e scrittrice decide nel 1934 di lasciare Vienna e di raggiungere il marito, che già da diverso tempo ama trascorrere molto tempo nell’artico. Convinta che quel periodo sarebbe stato salutare per lei per riposarsi, sferruzzare, leggere, avvolta da una morbida coperta in un’accogliente casetta, si imbarca per arrivare su un isolotto delle Svalbard tra la Norvegia e la Russia.
In realtà ciò che aveva così idealizzato sarà totalmente diverso.
Con il marito e un altro ospite inizierà un’avventura di un anno imprevedibile e indimenticabile.
È partita con l’idea di lasciarsi alle spalle il frastuono e la frenesia della città per abbracciare un nuovo paesaggio rassicurante e tranquillo, così come lo descriveva nelle sue lettere il marito.
In realtà al suo arrivo trova un posto aspro e difficilissimo che la destabilizza non poco: la capanna è minuscola e moltissimo isolata, piena di umidità e una stufa vecchissima e fumosa.
L’approvvigionamento per il cibo, dopo le scorte che si deperivano facilmente, era necessario e vitale per sopravvivere, tra difficoltà enormi, bufere di neve, ghiaccio duro come il marmo, notti protratte per molti mesi e che inducevano in lei un totale stordimento e mancanza di forza e volontà.
In questa sorta di diario (accompagnato anche da schizzi e disegni) la protagonista nella sua notte polare ha subìto un’evoluzione interiore notevole e straordinaria a contatto con questo paesaggio, nella natura possente e dirompente che plasma il quotidiano, in quella fessura di sole all’orizzonte contrapposto a lunghi giorni di buio totale, in cui solo l’aurora boreale rischiarava come un opale quel lato selvaggio del mondo. Lentamente, seppur immersa nelle difficoltà di ogni giorno, scopre un paesaggio con occhi diversi, si scopre coraggiosa, si accorge che il marito molto nervoso in città lo ritrova qui più sereno e paradossalmente ottimista. Lei si lascerà trasportare da una luce interiore nuova che progredirà di pari passo alla descrizione dell’ambiente magnificamente brutale del Polo Nord.
Si sentirà avvolgere da un nuovo modo di vivere l’esistenza, da un flusso di pensieri ed energie che la proietteranno in un paesaggio che ha un senso profondo. Non è solo ghiaccio, neve, freddo infinito, buio progressivo, solitudine profonda, paura, isolamento. Tutto questo la trasformeranno in donna coraggiosa in quella spinta esistenziale per sentirsi viva con tutto i sensi messi in moto.
Per lei muoversi in quel luogo non luogo è stato anche percepire come i minuti, le ore, i giorni e i mesi avevano un altro modo di susseguirsi. Era dentro un tempo rarefatto, dilatato all’ennesima potenza e dallo spazio che come una fisarmonica si dilatava e restringeva.
Christiane ha raccontato di stelle mute che si susseguivano dentro i suoi occhi e confondevano la mente, la tenevano stretta nella paura che ha urlato dentro di lei e faceva più rumore delle sibilanti sfere di vento fortissime che scuotevano la capanna e il suo io dolente e impaurito.
Ma il libro è anche attraversato da sublimi immagini che trasportano l’anima e il corpo da un peso gravoso a leggerezze piumate.
In lei il raggio di sole che rende l’orizzonte e che dura un battito di ciglia ha un’intensità tale di una scossa elettrizzante di pura adrenalina in cui la vita esce dalle ombre invernali.
In modo poetico e altamente rappresentativo l’autrice riesce a far decantare ciò che prova in maniera cristallina e pura come la natura che ha attraversato, riservandole anche un profilo spirituale, quasi religioso.
Più di cento giorni la protagonista ha vissuto nella dissoluzione della luce; è entrata nella notte infinita che avrebbe potuto renderla pazza. Lei però ancora una volta ha reagito ed è riuscita ad estrapolare dal nero pauroso una tavolozza di indaco, viola e rosa del cielo, ramata laggiù nel fondo. Ha osservato con stupore l’aurora boreale che muoveva le sue striature in quel verde sfumato fluttuante.
Si è sentita piccola in quell’universo così struggente nel quale, ad un certo punto, non esisteva più il suo corpo, era pura anima, profondo sentire senza braccia né gambe.
In questo cammino Christiane, non particolarmente coraggiosa, abituata alle comodità di una vita borghese “si spoglia” di ogni agio e si riveste solo del necessario, l’essenziale. Lei dentro la sua notte polare vede e comprende l’infinito esistere tra il buio e la luce, così come è la nostra vita tra il fiorire dei giorni e la penombra delle nostre incertezze.
È stato un viaggio meraviglioso e lascio a voi scoprire le sue innumerevoli altre sfumature.
Buone letture a tutti!
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