Premio Strega 2018: LA RAGAZZA CON LA LEICA, di Helena Janeczek
LA TRAMA
È la biografia di Gerda Taro: nata a Stoccarda nel 1910, travolta a morte da un carro armato durante la guerra civile spagnola, a Madrid il 26 luglio 1937.
Professione: fotografa di guerra e amante dell’ungherese Robert Capa, altrettanto fotografo con il quale lavorò. Civettuola e furba, indipendente e appassionata.
Essendo morta giovanissima, è passata alla storia come un’eroina coraggiosa. Ed è questa mitizzazione che ho amato poco. Forse anche a lei non sarebbe piaciuta se prendo per buono quanto è scritto nel libro stesso: “Si schermiva Gerda, divertita e forse neanche troppo; l’idea che qualcuno la venerasse le sembrava incredibile, una fandonia per sminuire il suo lavoro e il suo impegno”.
OLTRELATRAMA
Penso allo stesso modo della citazione. Esagerazioni che sminuiscono invece di celebrare? Forse è questo. Ma vado con ordine.
Ho certamente apprezzato molto l’idea di fondo. Cioè, ricostruire la biografia di una fotografa, attraverso – così pare a me – la descrizione dei suoi scatti fotografici (e quelli del suo compagno), con l’aggiunta dei contenuti di documenti vari incrociati. Ne è uscito un quadro immagino abbastanza fedele. Sebbene alcune considerazioni sembrano appartenere a conclusioni se non a interpretazioni dell’autrice, che poco mi hanno convinta. Alcune volte evidenti (perché aggiunge un “forse” o un “magari”) altre volte meno esplicite, ma “di troppo” secondo la mia percezione. Faccio per dire che mi sembra di sentire da una parte il desiderio di rimanere fortemente fedele alla storia biografica e dall’altra mi sembra di percepire un’invasione di alcuni commenti (più che altro di colore, che direi quasi inutili).
Ed è questa strana forma che non mi convince. C’è qualcosa che trovo “di troppo”, che mi fa sentire la narrazione “strana” generando in me forme di sospetto. Fosse stato un romanzo storico, le parti narrative di colore non mi avrebbero infastidita in questo modo, mentre questa voce molto didascalica, quasi almanaccante, e allo stesso tempo iperbolica (“la nostra coraggiosissima Gerda”), non la trovo adatta ad occuparsi di certe sfumature che io percepisco appunto come parti incollate, appiccicate per cercare di dare un tono più narrativo a un documentario, ma in modo che poco si amalgama. Così è parso a me.
È dunque non l’idea a disturbarmi (anzi! Sono proprio quelle operazioni letterarie che mi piacciono tanto tanto), ma il suo sviluppo. La voce, in fin dei conti (o le voci, che sembrano una ma cambiano i tempi verbali, dal presente storico, all’imperfetto, al presente, e talvolta si rivolgono a un tu). Una voce che, come detto all’inizio, tende ad avere un tono documentaristico-epico ridondante mescolato a luoghi comuni “euforici”, tipo: “Serenità traslucida”; “Angelica”, “Ladri patentati”; “La fama di un coraggio strepitoso”; “Rispetto straordinario”; “Amplificate in un’area leggendaria”; “Una sorta di talismano”; “Una madonna pellegrina che donava protezione ai combattenti”; “Non c’erano fuoco fumo e cieli in fiamme che potessero darle alla testa”…
E poi ci sono capitoli proprio poco efficaci, quasi più che altro dei riempitivi, che mi sembra si potevano magari liquidare con meno righe come il dopobarba regalato e non gradito, e la sua reazione viziata, e quegli abbracci euforici… che ci sono scene dove sembrava mancare solo una di quelle descrizioni dove lui e lei si corrono incontro al rallentatore con un tramonto sullo sfondo.
E mi dispiace un po’ perché senza quel colore e quelle frasi che a me sembrano messe lì per allungare e rendere «narrativo», un «fare forzatamente narrazione», ecco a me pare che tutto il resto sia molto bello.
Recensione di Manuela Mazzi
Recensione 2
Recensione di Attilio Facchini
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