L’UOMO CHE RIDE Victor Hugo

L'uomo che ride

L’UOMO CHE RIDE, di Victor Hugo

 

 

 

Recensione 1

L’inverno porta con sè, non so come mai, un certo bisogno di classici! Capita spesso che proprio in qiesta stagione io approfitti per colmare alcune delle mie tante lacune in questione, ed eccomi così giunto a “L’uomo che ride” di Victor Hugo, un romanzo che dentro un’ampia cornice storica racchiude una storia di grande forza emotiva.

Tutto comincia in una notte di gennaio del 1690, una nave salpa in tutta fretta e l’equipaggio abbandona un bambino di dieci anni sulla costa inglese, vicino a Portland. La nave verrà poi colta da una tempesta e i marinai come atto di espiazione decidono di lasciare un messaggio in una bottiglia con il segreto di quel bambino. Quest’ultimo, dopo aver salvato una bambina neonata trovata per strada, arriva alla baracchina dove un vagabondo di nome Ursus, un po’ saltimbanco e un pp’filosofo, e il suo lupo Homo. L’uomo accoglierà i due sotto il suo tetto…e si accorgerà della cecità della neonata, che chiamerà Dea, e della terribile menomazione sul volto del bambino, il quale crescerà come attore col nome Gwynplaine; destino e giochi di potere lo porteranno poi a conoscere la propria identità, con tutto ciò che ne conseguirà.

Hugo ci consegna un romanzo dalla forte impronta storica, ricco di approfondimenti impegnativi ma estremamente formativi- come tutta la parte iniziale dedicata ai “comprachicos”, sezioni poco scorrevoli ma che risultano fondamentali per comprendere gli snodi delle vicende che riguardano i tre personaggi principali, magnificamente rappresentati e i cui sentimenti portano il lettore a empatizzare con la loro sorte e con le loro vicende. Non manca una profonda e aspra critica al sistema sociale, con il dito puntato contro il divario tra Lords e popolo. La parabola della vita di Gwynplaine viene narrata in tutta la sua drammaticità e colpisce ancora per potenza e modernità, arrivando a un finale che non può non stringere il cuore del lettore. Un’opera imprescindibile, assolutamente da leggere con la calma, l’attenzione e i tempi che richiede, ma che lascerà segni indelebili nella vostra memoria di lettori…. e un po’ di tenero per i tre protagonisti.

[Nota a parte, un po’ polemica, per l’edizione: ora, io non ho l’abitudine con i classici di leggere il retro copertina, ma è possibile che vi siano riportati tutti i passaggi del romanzo, finale compreso. capisco che con i classici la sorte di molti personaggi sia ampiamente nota (chi ha detto Anna Karenina?) ma un minimo di misura in più non guasterebbe. Scusate lo sfogo]

 

Recensione di Enrico Spinelli

 

 

Recensione 2

Ursus e Homo, un viandante e il suo lupo, vagano per l’Inghilterra. Ursus è un dottore, ma anche un farmacista; è un teatrante ventriloquo e, allo stesso tempo, un filosofo, un dotto e un saggio. Parla alla misera folla, la inebria con le sue lunghe orazioni e, tra una citazione e l’altra, rivela delle verità basilari che riguardano il funzionamento del mondo finora conosciuto; ma guai a parlarne apertamente: il sistema non si può cambiare.

 

L'UOMO CHE RIDE Victor Hugo Recensioni Libri e News

 

 

“Ma perché il popolo è ignorante? Perché deve esserlo. L’ignoranza è custode della virtù. Dove non ci sono prospettive, non ci sono ambizioni; l’ignorante è in una notte benefica che, sopprimendo lo sguardo, sopprime le brame. Di qui l’innocenza. Chi legge pensa, chi pensa ragiona. Non ragionare è un dovere; è anche una fortuna. Queste sono verità incontestabili in cui si regge la società”.

“Chi non è padrone dei propri pensieri, non è padrone delle proprie azioni”.

Ursus lo sa bene, non prova a ribellarsi eroicamente, sa che ogni sforzo sarebbe vano. Preferisce vivere nell’ombra, tra i poveri, ma serenamente.
Questo finché una notte, durante una tormenta di neve, bussa alla porta del suo carretto di legno un bambino, con in braccio una neonata di pochi mesi.

 

 

Questo bambino si chiama Gwynplaine. E’ stato abbandonato sull’isola di Portman da una banda di comprachicos, degli zingari che erano soliti comprare bambini per deturparli, per renderli “animali da circo”, dei saltimbanchi, dei clown ecc.; un business non indifferente.

Sul suo volto vi hanno lasciato una condanna: una bocca spalancata fino alle orecchie, una risata eterna che, allo stesso tempo, in chi la guarda, provoca ilarità e incute paura, infine ribrezzo. Gwynplaine è condannato a portare per sempre una maschera da mostro, sopra ad un’anima nobile e virtuosa, che, nella stessa tormenta di neve, ha salvato una bambina dalla morte sicura. Una bambina cieca che Ursus chiamerà Dea, un angelo sceso in terra.

 

 

Ursus decide di prendersi cura di questi due orfanelli, e, una volta cresciuti, crea insieme a loro uno spettacolo a metà fra il teatrale e il circense, “Caos Vinto”, che riscuote un enorme successo e dà loro una grande felicità, che, di fatto, è il riscatto dei poveri.

“Se la miseria umana si potesse riassumere, sarebbe stata riassunta da Gwynplaine e Dea. Sembravano nati ciascuno in un comparto del sepolcro: Gwynplaine nell’orrido, Dea nel buio. […] In Dea c’era qualcosa del fantasma, in G. dello spettro. Gwynplayne, che vedeva, aveva una possibilità straziante, che non esisteva per Dea, cieca: paragonarsi agli altri uomini. Paragonarsi significa non capire più. Avere, come Dea, uno sguardo vuoto da cui il mondo è assente, è un’indigenza suprema e tuttavia inferiore a quella di essere il proprio enigma […]. Dea aveva un velo, la notte, e Gwynplaine una maschera, la sua faccia. […] Un decreto di sventura pesava visibilmente su quei due esseri umani, e mai fatalità aveva trasformato a tal punto, intorno a due creature innocenti, il destino in tortura e la vita in inferno. Ma loro erano in Paradiso. Si amavano”.

“Al fondo del loro amore c’era un prodigioso bisogno reciproco: G. salvava Dea, Dea salvava G. Incontro di sventure che produce adesione. Abbraccio di due creature inghiottite dal gorgo. Niente di più stretto, niente di più disperato, niente di più sublime”.

 

 

Tuttavia questa felicità e questo successo non possono durare a lungo: soprattutto quando la storia di Gwynplaine si intreccia con quella dei Lord, che, si sa, sono nemici del popolo: Lord David Dirry-Moir, la promessa sposa Lady Josiane, e il perfido servitore Barkilphedro. A causa di questi incontri la vita del ragazzo sarà cambiata per sempre: quello che sembra un grande colpo di fortuna si rivela, in realtà, un pessimo scherzo del destino; dall’apogeo della felicità, Gwynplaine arriva a toccare il fondo degli abissi.

Il mondo dei Lord è troppo distante dal suo, affinché possa essere compreso: “Io sono colui che viene dalle profondità. Milord, voi siete grandi e ricchi. […] Il sole è il diritto. Voi, invece, siete il privilegio. Chi è il padre del privilegio? Il caso. E chi è suo figlio? L’abuso. Né il caso né l’abuso sono solidi. […] Io vengo ad avvertirvi. Vengo a denunciarvi la vostra stessa felicità. E’ fatta dell’infelicità altrui. Voi avete tutto, ma il vostro tutto è fatto del nulla degli altri. Milord, io sono l’avvocato senza speranza, difendo una causa persa. Questa causa la vincerà Dio. Io non sono niente, sono solo una voce. Il genere umano è una bocca e io sono il suo grido. Voi mi ascolterete”.

“Che ci faccio qui? Vengo a essere terribile. Sono un mostro, voi dite. No, sono il popolo. Sono un’eccezione? No, sono come chiunque. L’eccezione siete voi. Voi siete la chimera, io sono la realtà. Io sono l’uomo. Sono lo spaventoso uomo che ride. Ride di cosa? Di voi. Di se stesso. Di tutto. Cos’è il suo riso? Il vostro delitto e il suo supplizio. Questo delitto ve lo getta in faccia; questo supplizio ve lo sputa in viso. Io rido, che vuol dire: io piango”.

 

 

E’ un romanzo triste, cupo e dall’atmosfera gotica. Lo consiglio tantissimo perché è commovente, fa riflettere sul significato di giustizia e destino, povertà e ricchezza, virtù e vizio, bene e male, Dio e Satana, amore ed eros. La scrittura di Hugo è raffinata e poetica, evoca sensazioni e immagini impalpabili.

L’unico difetto di questo romanzo è la lentezza della prima metà del libro, dove Hugo spiega il contesto inglese e riversa in queste pagine tutto il suo sapere; ma vi assicuro che la seconda metà del libro è poesia pura. Mi rimarranno sempre nel cuore questi personaggi, la loro bontà e la saggezza spesso ironica e spiritosa di Ursus.

Recensione di Martina Zucchini

 

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