LE VERGINI SUICIDE Jeffrey Eugenides

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LE VERGINI SUICIDE, di Jeffrey Eugenides

L’avevo in lista da tanto e sono contenta di averlo letto anche se onestamente ho faticato.

Non spoilero, visto che si sa fin dal titolo, scrivendo che è la storia di 5 sorelle che si suicidano. Ora quello che resta da capire è il perché.

Siamo nella tranquilla provincia americana, in un tipico quartiere residenziale abitato da famiglie appartenenti alla middle class. La vicenda è narrata da una voce plurale maschile, un coro di uomini – innamorati, o meglio ossessionati dalle sorelle Lisbon- che al tempo dei fatti erano ragazzi. Dopo vent’anni dai suicidi questi uomini senza nome ancora s’interrogano, facendo una vera e propria indagine con tanto di interviste e raccolta dei reperti, sulla morte delle giovani sorelle.

 

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Diciamo subito che di ragioni oggettive per il suicidio, a parte una madre bigotta e mostruosa e un padre senza spina dorsale, personalmente non ne ho trovate. Quindi viene da pensare che le sorelle Lisbon siano una metafora, un’immagine di altro.

Ed effettivamente il loro apparire praticamente sempre in gruppo, quasi fossero anche loro reali solo come plurale femminile, contrapposto alla narrazione plurale maschile, ricorda le ninfe o le grazie di antica memoria (ma anche un po’ i giovani vampiri di twilight).

 

 

Sono idealizzate dai loro coetanei che le vedono come bellissime e irraggiungibili. Bionde, vestite di bianco, eteree. Poi ad un più attento esame ci si accorge che non sono tutte così perfette, ma comunque continuano ad essere percepite come dee, ognuna con la propria particolarità (Lux sicuramente ricorda una giovane Venere).

La grecità di Eugenides si sente da subito sia nella narrazione plurale che richiama il coro delle antiche tragedie, sia nella deificazione delle ragazze, novelle ninfe, sia nell’atmosfera pervasa da segnali di morte e dalla percezione dell’ineluttabilità del fato che amplifica il tono tragico; anche la natura porge il fianco: gli olmi della via sono condannati da una malattia letale e le crisope, al tempo dei suicidi, ricoprono ogni vetro e lampione per morirvi collettivamente.

Ma cosa significa? Dove ci vuole portare Eugenides? Non lo so. Forse le sorelle Lisbon rappresentano un’età felice che l’autore sente come inesorabilmente scomparsa, una realtà che è andata corrompendosi fino a darsi essa stessa la morte e ha lasciato il posto ad un presente corrotto, deteriorato, con problemi climatici e di inquinamento, un presente surriscaldato in cui non nevica neanche più.

 

In questo presente la gente non socializza: non c’è più neve da spalare insieme in inverno e foglie da raccogliere in autunno perché non ci sono più foglie (gli olmi della via sono stati tutti eliminati), neppure il barbecue si può fare, lo proibisce un’ordinanza municipale a causa del surriscaldamento globale.
I ragazzi di ieri, adulti di oggi, sono ossessionati dalle sorelle Lisbon perché sono la raffigurazione della loro adolescenza tradita? Forse, ma una soluzione Eugenides non l’ha data o io non l’ho capita.

Recensione di Elena Monfalcone

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