L’ACQUA DEL LAGO NON È MAI DOLCE, di Giulia Caminito
Recensione 1
“L’acqua del lago non è mai dolce” di Giulia Caminito. Non apprezzo particolarmente gli autori italiani ma ho voluto dare un’opportunità a questa giovane scrittrice, incuriosita da un accenno di trama e dalla ragazza sulla copertina. La scrittrice ci racconta la non formazione di una ragazza nata in una famiglia povera e disagiata, con il padre disabile a seguito di un incidente e la madre coriacea e ammirevole per i suoi sacrifici e la sua onestà ma detestabile per il poco amore che mostra verso i figli. Dopo che la madre riesce ad ottenere una casa popolare a Roma, decide improvvisamente di fare uno scambio di case e trasferirsi in provincia vicino al Bracciano e al lago. Gaia cresce in provincia di Roma piuttosto aneffettiva, addestrata dalla madre ad eccellere a scuola e leggere libri seri, ricordando in qualche modo la Elena de “L’amica geniale”, che non sapeva far altro che studiare, in un contesto che mi ha ricordato molto i quartieri suburbani di “Favolacce”, con lo stesso tedio per una vita che scorre sempre uguale come la superficie del lago, il sesso troppo precoce e casuale, la stessa crudeltà, il disprezzo per la vita.
Gaia si sente rifiutata a scuola perché è diversa, non avendo le cose che le permetterebbero di essere accettata, come le agende Smemoranda e gli abiti nuovi, e prova rabbia e invidia per le cose che hanno gli altri. Di fronte al bullo di turno, reagisce e siamo con lei ( perché chi mai non ha subito qualche torto a scuola?)ma non più quando ci accorgiamo che non si accontenta di dare uno schiaffo o un colpo con l’astuccio, ma si accanisce sulle rotule più e più volte.
La rabbia che cova dentro la porta a reazioni esagerate e non sappiamo se il suo comportamento sia del tutto imputabile all’ambiente da cui viene o non sarebbe stata molto diversa, anche se fosse nata in una famiglia più agiata, perché qualcosa da desiderare che non poteva avere l’avrebbe sempre trovato. Vuole cose ma sembra più per il gusto di averle e lo status che danno che per reale utilizzo, in linea con il consumismo dilagante ( siamo negli anni Novanta-inizio Duemila), che ha sostituito le ideologie, e per averle è disposta a tutto, anche ad essere complice di un ladro. Magari sarebbe stata animata dalla stessa rabbia, se fosse stata più ricca, ma sarebbe stata molto più nascosta, come a volte succede alle persone molto tranquille.
Considera le persone per lo status che le danno come le cose; del resto non sembra amare nessuno, non sentendosi amata dalla madre, salvo poi pentirsi quando le persone le vengono portate via.
Ad un certo punto la sua vita sembra svoltare per il meglio: il suo studio diligente l’ha portata a pieni voti all’Università, ha amiche e il ragazzo che le interessava si è messo con lei, ma per una serie di circostanze si sfiora la tragedia e la tanto bramata laurea non porta da nessuna parte. Forse in merito alla laurea improduttiva c’è un accenno autobiografico dell’autrice, laureata come la protagonista in filosofia e forse vittima di una delusione simile, ma si rinuncia ad approfondire la questione dell’ascensore sociale fermo, perché si preferisce concentrarsi sulle reazioni di Gaia.
La protagonista, vinta e spezzata, si fa travolgere dalla rabbia e dal desiderio di distruggere, tendenza sviluppata in opposizione alla madre, che ha passato tutta la vita ad unire e a ricucire e che odia ma da cui non riesce a liberarsi: pretende che sia la madre ad occuparsi del suo futuro lavorativo, come si è sempre occupata di tutto, dopo che le ha imposto di eccellere nello studio e fatto credere che la sua vita sarebbe cambiata.
Il finale è spiazzante e duro come il resto del libro.
Mi è piaciuto molto lo stile spigoloso, essenziale ma in qualche modo anche poetico, come nelle descrizioni relative al lago.
Lo consiglio a chi ama i romanzi di formazione.
Recensione di Eleonora Benassi
Recensione 2
“…ERAVAMO FATTI A BRICIOLE, ERAVAMO BAMBINI, ERAVAMO SENZA GIOCHI E SENZA CASA, MA ERAVAMO ATTENTI.”
Sono ormai tre giorni che ho finito questo libro, e ancora non riesco a trovare le parole giuste per esprimere quello che questa lettura mi ha dato.
È una storia potente, che mi ha lasciato dentro tanti pensieri, tante riflessioni e sentimenti, ma è come se non riuscissi a metterli nero su bianco, forse perché sono ancora lì che vorticano…
Non riesco a lasciar andare le due figure femminili che abitano queste pagine, che cercano in ogni modo di rimanere a galla, di trovare il loro posto (e non solo metaforico) in un mondo che le vuole emarginare, che cercano un riscatto che forse non arriverà mai… e intanto l’infelicità si annida negli angoli più bui, la rabbia ribolle in fondo allo stomaco e cerca la strada per venire fuori.
Una madre che non si arrende, che combatte, arranca, lotta per la giustizia e crede nel bene comune, una madre che domina e ingombra, che non accarezza e pretende, la cui ala protettiva si espande prepotentemente e finisce per soffocare.
La vita l’ha indurita, le ha inspessito la pelle, le ha insegnato a fare a meno di tutto, tranne che di un tetto sopra la testa.
E quello cercherà, per tutta la vita.
Una figlia che nasce nella privazione, che si adatta ai 20mq da dividere in sei, senza giocattoli, senza tv, senza niente.
Cresce cercando una rivalsa non sua, senza mai lamentarsi, spingendo giù ogni dolore, soffocando il risentimento, studiando tanto, leggendo i libri giusti, tuffandosi senza paura nell’acqua torbida e scura, sparando con precisione i bersagli, spaccando ginocchia ai prepotenti, affogando i traditori, accendendo fiammiferi, prendendo e difendendo ciò che ritiene sia suo, amando senza sapere cosa sia l’amore, piangendo l’amicizia perduta…
Una ragazza che vorrebbe trovare se stessa, ma rimane sempre impigliata nell’ombra di sua madre.
Due figure femminile che ami e che odi, che vorresti abbracciare e prendere a schiaffi, perché portano dentro tutto il disagio degli ultimi, i poveri, e tutto il cinismo e l’arroganza di chi si sente (giustamente) in credito con la vita.
Ma non ci sono solo loro in questa storia: c’è un marito/padre che in un attimo perde tutto, e rimane fermo, inchiodato su una sedia, inchiodato in un rapporto che lo vede sempre secondo, laterale, senza voce.
Poi c’è un figlio che non è suo figlio, ma con cui si evolverà uno strano rapporto di odio/amore.
Un ragazzo caparbio, anarchico, l’unico in grado di sottrarsi al dominio materno, divenendo punto di equilibrio per tutti gli altri.
E poi c’è il lago, così vivido, così magico e così spettrale, così protagonista da riuscire a sentirne anche l’odore.
Tutto ispirato a vita vissuta…
Giulia Caminito, dov’eri? Dove ti nascondevi? Perché io ti scopro solo adesso?
Per me entri, di diritto, nell’olimpo delle grandi scrittrici italiane contemporanee.
La tua scrittura è bellezza autentica!
La narrazione in prima persona ti consente di ripercorrere, senza il filtro di un terzo narrante, le vicende di questa misera famiglia.
Misera, si, perché costretta alla miseria e al disagio dell’emarginazione più totale, un’emarginazione quasi senza fine, dalla quale difficilmente si rialza la testa se non attraverso singoli episodi di rabbia destinati ad essere archiviati per andare oltre.
È un’immersione nel lago, che è pozzanghera e stagno del disagio profondo in cui la lotta si radicalizza e la diffidenza erige muri impossibili da abbattere.
Sono pagine piene di vita, schiamazzi, beghe, ribellioni, adolescenze infelici come tante e drammi, familiari e non, avviluppati nella povertà.
È un viaggio nella solitudine e nella vita di chi annaspa e lotta per trovare il proprio riscatto e puntualmente riceve sberle che lo schiantano a terra.
La ricercatezza del linguaggio di Gaia stride con la povertà della sua vita, aumentando ancora di più quel disagio, quella ricerca affannosa di un posto migliore nel mondo. É quello che merita, é quello che ha promesso a sua madre, costi quel che costi.
Recensione di Paola Greco
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