IL CUOCO DELL’ALCYON Andrea Camilleri

IL CUOCO DELL’ALCYON, di Andrea Camilleri

La nuova indagine del Commissario Montalbano, come ci dice in una nota lo stesso Camilleri, è nata da un soggetto per un film italo-americano mai prodotto e in seguito, dopo aver apportato le opportune varianti, dalla sceneggiatura del film è stato estrapolato “Il cuoco dell’Alcyon” (Sellerio 2019).

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La storia inizia già con un fatto tragico: il suicidio di un operaio della Trincanato, un cantiere navale di proprietà del poco affidabile e donnaiolo Giogiò che è succeduto al padre nella direzione dell’azienda. Montalbano, alle prese con il questore Bonetti- Alderighi, è costretto a ferie d’ufficio per l’importante accumulo di giorni da usufruire.

Mentre si trova a Boccadasse dalla fidanzata Livia, apprende che il suo commissariato è stato smembrato e i suoi uomini trasferiti altrove. Il mistero di tante belle ragazze straniere che frequentano Vigàta e di una goletta “fantasma”, l’Alcyon, che appare e riappare nel porto, con pochissimi membri d’equipaggio e una zona di poppa larga tanto da poter far atterrare un elicottero, accendono i sospetti del commissario.

 

Qualcosa di fortemente importante sta accadendo nel mondo della criminalità. Ci sarà qualche collegamento tra la misteriosa imbarcazione e lo smembramento del commissariato di Vigàta? E ancora, che legame può esserci tra l’Alcyon, la fabbrica Trincanato e il suo direttore “fimminaro”? E perché interviene addirittura l’F.B.I.?

 

Con un siciliano sempre più stretto che si trasforma come non mai in una lingua assolutamente nuova, Camilleri ci presenta un Montalbano diverso dal solito, in un tempo che sembra di molto antecedente alla sua ultima avventura (e lo si evince dal fatto che molte cose non sono ancora accadute), un Montalbano forte e avventuroso che si comporta in maniera inaspettata e che cercherà in tutti i modi di “scancellare per sempre dalla so’ memoria” il risultato delle sue azioni.

 

Una lettura gradevole soprattutto nella prima parte, un po’ meno realistica nella seconda (come una vera e propria “pillicula miricana”), un Montalbano insolito, un po’ troppo lontano da quello che noi consideriamo “nostro”, una totale assenza delle divertenti comparsate di Catarella, dei famosi “pizzini” di Fazio o delle furfanterie “amorose” di Augello, il libro risente sicuramente di un adattamento un po’ forzato per sfruttare una sceneggiatura preesistente. Era necessario?

 

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