IL BLU È UN COLORE CALDO  Jul Maroh

IL BLU È UN COLORE CALDO, di  Jul Maroh (Rizzoli – Lizzard)

 

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Ancora non siamo pronti a pensare all’amore oltre al genere, oltre alla vita, oltre al nostro tempo. Quando ci capita rimaniamo storditi, con un corpo, una mente, un cuore non educati all’amore. All’infinito.

“Il blu è un colore caldo” è un graphic novel, un romanzo grafico, che ha avuto successo sin dall’inizio. In Francia è diventato subito un bestseller, vincendo il premio Fnac al Festival di Angoulême 2011, da cui è stato tratto “La vita di Adèle”, il film vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes 2013.

Jul Maroh è una giovane fumettista originaria del nord della Francia. Ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Bruxelles, dove ha conseguito due diplomi – uno in Arti Visive e l’altro in Litografia e Incisione – e fondato la fanzine “Guacamole”. Si definisce trans, agender fluid, genderqueer, neutral, pangender, e in qualsiasi caso transgender non binaria. Tutti questi termini per molti forse sono nuovi ma fanno parte del vocabolario delle nuove generazioni che hanno superato tutti i confini per esprimersi anche sessualmente in totale libertà.

 

 

Il graphic novel è una forma narrativa in cui le storie a fumetti hanno la struttura del romanzo, quindi autoconclusive e con un intreccio sviluppato. Il graphic novel viene considerato da alcuni studiosi una forma di fumetto a metà tra il genere del romanzo e quello dei fumetti. Rubando il termine a Umberto Eco, si potrebbe dire che Jul Maroh è un “narratore verbo-visivo”. Un autore di “letteratura disegnata”. I dialoghi però non sono quelli tipici del fumetto, hanno le caratteristiche dei dialoghi  di un romanzo. Inoltre, qui lo scrittore sostituisce le descrizioni, l’espressione dei volti, delle pose, dell’ambientazione, con dei disegni. Il disegno diventa scrittura. È come disegnare la narrazione e narrare i propri disegni.

È una modalità espressiva che piace ai giovani e che si presta a parlare di cronaca, storiografia, attualità. Una tendenza che ha sviluppato quello che oggi viene chiamato  graphic journalism,  o giornalismo a fumetti, un modo nuovo per  proporre documentari o reportage.

 

 

 

Jul Maroh coniuga a meraviglia parola e disegno. Attualità e coming out, pregiudizio sociale e disagio di chi si scopre non allineato con gli stereotipi imposti dalla famiglia e dal contesto in cui vive.

“Il blu è un colore caldo” è la storia di Clem, diminutivo di Clémentine. È una ragazzina di 15 anni che incontra l’amore un pomeriggio qualsiasi della sua vita da liceale negli anni Novanta della fine del secolo scorso. Scorge una macchia di colore, guarda meglio. Sono capelli blu. Di una ragazza abbracciata a un’altra ragazza. Bellissima. Clem rimane folgorata. Anche la ragazza dai capelli blu si volta per guardarla. Lo sguardo sconvolge entrambe. Quel giorno la loro vita non sarà mai più come prima.

Una vita banale all’improvviso si colora di blu, ma un blu spostato dai suoi usi consueti. Oggi è normale tingersi i capelli di blu. Negli anni ‘90 era una stravaganza. Come essere gay. Da qui il titolo. Il conflitto verso un mondo grigio Maroh lo esprime con il colore: le tavole sono in bianco e nero ad eccezione del blu dei capelli di Emma, la ragazza dai capelli blu. Il blu diventa anche l’antitesi dell’etica benpensante dell’epoca, un mondo fatto di regole, doveri, comportamenti stereotipati, un mondo sempre uguale, monotono, grigio.

 

 

 

Il blu, classificato come colore freddo si tramuta in colore caldo perché diventa metafora dell’amore assoluto, quell’amore che non guarda in faccia nessuno e si fa persino omosessuale. È un amore che va oltre ogni tipo di confine.

Come dice Emma alla madre di Cleméntine, parlando del padre in rotta con la figlia per le sue scelte amorose: «Dovrebbe dirgli che Clem si sarebbe innamorata di me comunque, anche se fossi stata un maschio.» (p 14)

La storia di Clem non è solo una storia d’amore. È una storia che racconta tutte le difficoltà del riconoscere la propria identità così diversa da tutte le altre, in famiglia, in società, a scuola, fra le compagne. Vergogna, rifiuto, odio, rabbia, insicurezza: è quello che prova Clem nel momento in cui si abbandona ai suoi sentimenti. In un mondo colmo di pregiudizi vivere la propria omosessualità senza nasconderla può far saltare il proprio sistema emotivo e danneggiare irreversibilmente il corso di un’esistenza.

 

 

 

Una narrazione fatta di poche parole ma incisive, fatta di bei disegni, descrittivi. Pura poesia. Pura emozione. Le tematiche universali e le necessità generazionali sono svelate al lettore con estrema delicatezza e senso del rispetto.

Attraverso la storia di Emma e di Clem, Jul Maroh affronta le tematiche del coming out l’accettazione della propria diversità, i timori, le delusioni, le speranze e i sogni infranti. Parla con gli adolescenti e li aiuta a non sentirsi soli, mentre ai loro genitori offre uno sguardo sul mondo dei ragazzi. Il suo taglio trasversale non delude il lettore, né giovane, né più maturo, anzi lo guida a orientarsi meglio in entrambi i casi. È un messaggio forte di inclusione e comunicazione intergenerazionale.

Nonostante sia una storia drammatica, al lettore rimane dentro tutta la poesia che l’arte del suo autore ha saputo creare intorno al disegno e alle parole. Nel loro unirsi in un eterno stare insieme.

«Emma … una volta mi ha chiesto se credevo nell’amore eterno. L’amore è qualcosa di troppo astratto e indiscernibile. Dipende da noi, e da noi è percepito e vissuto. Se non esistessimo, non esisterebbe. E come noi siamo mutevoli, mutevole è l’amore.» (p 155)

 

 

 

«L’amore s’infiamma, trapassa, si spezza, ci spezza, Si rianima… ci rianima. Forse l’amore non è eterno, ma rende eterni noi…» (p 155)

«Oltre la nostra morte, l’amore che abbiamo svegliato prosegue il suo viaggio.» (p 155)

In un mondo dove l’identità di genere e persone LGBTQI+ sono purtroppo ancora perseguitate e assassinate, si chiede l’autore, cosa può fare ciascuno di noi? Qual è il nostro potere di cambiare il mondo?

E la sua risposta è la seguente: «io racconto storie, sono “qui” per fare domande per aprire porte, non per chiuderle. Da diversi anni, in ogni posto dove mi capita di lavorare appendo al muro una frase di Goliarda Sapienza: “chi nasce col talento di raccontare è anche uno che guarisce.» (postfazione)

Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto  

 

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