GLI INTRAMONTABILI: LA MONTAGNA INCANTATA, di Thomas Mann
Recensione 1
“Ci sono due strade che conducono alla vita: l’una è la solita diretta onesta. L’altra è brutta, porta attraverso la morte, ed è la strada geniale”
Ho conosciuto Herr Thomas Mann sui banchi di scuola: lettura estiva obbligatoria “I Buddenbrook”, mattonazzo che ho divorato in pochi giorni a fine terza liceo.
Va da sé poi la lettura di Tonio Kroger e La morte a Venezia, gioiellini di letteratura.
Ma “La montagna incantata”, nonostante il titolo quasi da fiaba, non mi ha mai stuzzicato, sarà perché l’aggettivo “incantata” non lo associavo per nulla al luogo dove tutto si svolge, un sanatorio in alta montagna appunto.
Ma nella vita di una persona che legge responsabilmente, ci sono libri imprescindibili.
E’ stata una lettura complessa, difficile, la traduzione un po’ datata non ha di certo aiutato, ma è senza dubbio una lettura necessaria e di questo sono grata a Herr Mann.
Necessaria perché…
…racconta di un antieroe e del suo viaggio di formazione. Non un prode cavaliere o un giovane predestinato ma un uomo qualunque, Hans Castorp, un borghese poco più che ventenne, ingegnere, una vita piatta come piatta è la pianura in cui vive e lavora, che viene mandato in montagna, giusto per cambiare un po’ d’aria, a trovare un cugino malato.
…racconta dello scorrere del tempo, che in questo luogo segue ritmi diversi, scanditi da rituali sempre uguali (i pasti, ben 5, i trattamenti, le visite mediche, le radiografie, le misurazioni della temperatura, i momenti di socialità), non si ragiona più in minuti, ore, giorni…tutto si dilata e si restringe senza controllo e per questo acquista un nuovo significato, lasciando spazio alla meditazione, alla riflessione.
…racconta di malattia e morte. La morte intesa come valore spirituale (degna se esprime il coronamento di una vita ben spesa) e come puro fatto biologico, cruda realtà. La malattia che può essere veicolo per elevazione e affinamento spirituale, che concede tempo per guardarsi dentro e meditare, espressione di libertà…”nello spirito dunque, nella malattia consiste la dignità dell’uomo, consiste la sua nobiltà; in poche parole, egli è tanto più uomo quanto più è malato e il genio della malattia è più umano di quello della salute”
…racconta l’incontro con due mentori, agli opposti ma che faranno crescere e sviluppare lo spirito critico del nostro antieroe. Uno che cerca di convincere Hans a tornare nella terra dei “sani” e a non lasciarsi stregare dalla montagna incantata, a questo scopo cerca di tenere vivi in lui gli ideali di progresso, razionalità. E l’altro che sostiene pensieri contradditori che vanno dall’odio contro il capitalismo alla riscoperta del valore di redenzione della violenza e del sacrificio cruento.
…racconta della potenza dell’amore, vero e proprio punto di svolta nel processo di formazione di Hans. Da questo incontro parte il suo viaggio interiore. Un viaggio fatto di approfondimenti, di conoscenza, di studio, di curiosità, di conquista. Mentre gli altri ospiti del sanatorio, chiara rappresentazione della borghesia decadente, sono statici e immutati, incapaci di evolversi, Hans si abbevera del sapere più vasto: filosofia, politica, astronomia, musica, medicina, botanica, anatomia, teologia. Hans “sale verso l’alto”, si forma, arriva alla salute dello spirito attraverso la presa di coscienza della malattia e alla cognizione della morte.
…racconta di quanto sia importante per ognuno di noi, non rimanere in “pianura”, tra i “sani”. Perché nelle condizioni ottimali difficilmente si riesce a crescere, non c’è verticalizzazione senza prima una discesa, non si arriva in cima alla montagna senza essersi prima persi in una tormenta di neve. E per arrivare alle alte vette è necessario mantenere viva la curiosità, la voglia di conoscenza, lo spirito critico, il mettersi in gioco, sapere ascoltare e sviluppare un proprio pensiero…e infine amare, amare in senso universale per poter dire di aver vissuto veramente.
…e infine racconta tra le righe, senza quasi mai nominarla, la “più grande stupidità” dell’uomo, la guerra, che fa da sottofondo a tutta la narrazione, e che ci strappa dal mondo contemplativo della “montagna”, un non-luogo, un altrove ovattato e preservato, ma non reale. E così nel tempo di un rombo di tuono ci si ritrova in pianura, nel mondo “attivo”, in prima linea…cosa ci può salvare? E soprattutto, ci si può salvare?
Tante sono le domande che leggendo questa opera monumentale mi sono fatta, non c’è bisogno di trovare subito le risposte, l’importante è “armare di diffidenza il cuore e la mente, non rinunciare mai alla resistenza critica”.
Vielen Dank Herr Mann!
Buona lettura!
Recensione di Cristina Costa
Recensione 2
Un librone, un romanzone, un mondo.
Musica per le orecchie, piatto gustoso per le papille, panorama vasto per gli occhi. Sensi e spirito, corpo e anima,
Vita e morte.
Tutto e di più, lassù nell’altura persa in un tempo soggettivo sia che sia dilatato (la classica “nostra” pentola d’acqua sul fuoco che allunga il tempo ai limiti dell’eternità), o che sia ristretto (è già passata una settimana, un mese un anno? Dio mio come corre il tempo!), lungo il percorso di quell’ incessante, insensibile granitico fenomeno oggettivo che, con il suo regolare ticchettio, tutto inevitabilmente muta. In quell’altura in cui le stagioni seguono un ritmo scomposto (nevica ad agosto), la vita conquista la morte, in maniera ineccepibilmente ordinaria.
Si dice che “La montagna incantata” non è una lettura per tutti. Ne sono convinta. Tuttavia la mia convinzione nasce non certo perché occorre l’erudizione, le nozioni dotte, scolastiche, le classiche conoscenze, polpettoni per la mente. No, assolutamente no. Per leggere tale libro è importante la capacità volontaria di perdersi nella tormenta di neve, nelle allucinazioni, nei sogni primordiali, in quel brodo di non materia da cui discendiamo. Saper leggere negli occhi della morte il disfacimento fisico, toccare la malattia solo e solamente per assaporare e rispettare il mistero della vita.
E pazienza se si ci smarrisce tra dispute umanistiche, virginiane, fra latinismi, correnti varie, medioevalismi infarciti di inquisizione e torture, massoneria e carboneria, ateismo e divinità, pessimismo e ottimismo. Pazienza se non si è a conoscenza del francese: le sfacciate dichiarazioni d’amore e passione sono più facili in una lingua che non si è propria. Già, si è più audaci. E non verrà difficile anche ai lettori monolingue capirne il coraggioso significato (Ahi, Ahi la signora Chauchart dagli occhi chirghisi. Che cosa porta a fare al nostro Hans.)
Quindi, dopo questa premessa, ritengo che l’approccio alla biblica lettura può avvenire solamente, perdonatemi l’empirico consiglio, se il lettore è capace di indossare le vesti del mediocre, comunissimo Hans Casporp, uomo privo di aspettative e ambizioni, il cui l’unico e multiforme vantaggio è di essere una naturale spugna di mare e, per tale ragione, divenuto consapevolmente il soggetto pedagogico preferito di due pensieri opposti ma equamente estremi: “il pupillo di vita” del signorile trasandato Settembrini, umanista e massone italiano, e del piccolo gesuita Naphta, computo e conservatore.
Hans entra e si pone al centro del “Teatro in cui Dio e il diavolo lottano per il possesso della creatura da entrambi ardentemente agognata”
In quella montagna lontana dal “bel” mondo borghese, quest’ultimo pianura confezionata di benessere e oblio, dal tempo e dallo spazio scanditi dalla frenesia di chi ha l’integrità fisica, si erge un sanatorio di tisici, un piccolo microcosmo, rarefatto e sospeso in una bolla, di esseri “impudicamente” malati, ovattati dal silenzio dei simmetrici fiocchi stellati di neve indifferenti alle silenziose sofferenze.
E in questo spazio alto e relativamente immenso Hans, l’antieroe borghese cresce, evolve, cambia dentro e fuori, matura nel bene e nel male, nell’antitesi irrisolvibile della vita.
Da ciò lungi da me prolungarmi nell’analisi di ciò che ritengo (insisto) sia necessario leggere, ognuno con la propria musicalità ricettiva.
Posso soltanto dirti che Thomas Mann in tale racconto, dalla cadenza sinfonica e spolverato da un leggero humor inglese, non risparmia di menzionare, anche in maniera dura e diretta, alcuna scienza che sia medica, scientifica, mistica, alchemica, vera o falsa, alcun sentimento che sia velato di filisteismo o di genuina e ingenua sincerità, carnale o platonico, giacché l’essere umano, con la sua ragione -questa con il proprio soggettivo orizzonte – e con i suoi sentimenti, filantropici o egoistici, è il mistero più impenetrabile in rapporto all’alone divino da e in cui è circondato.
E, ancora, Thomas non vi risparmierà né le risa, né il sorriso, né la noia, né l’entusiasmo.
Vi farà sbuffare come vi farà cadere anche qualche elegiaca lacrimuccia.
Placet experiri…
“Le raccomando: abbia stima di sé! Sia orgoglioso e non si dia al forestierume! Eviti questa palude, quest’isola di Circe, dove lei non è abbastanza Ulisse da dimorare impunemente. Finirà col camminare a quattro zampe, già sta pregandosi sulle estremità anteriori, tra poco si metterà a grugnire stia in guardia!”
Corsi e ricorsi storici.
Cari amici lettori e amiche lettrici
Recensione di Patrizia Zara
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