
Enrico Pandiani ci racconta i personaggi della banda Ventura: l’intervista

1. Come hai immaginato la Banda Ventura e quali caratteristiche volevi che avessero i suoi membri?
La banda è nata da una serie di circostanze – alla luce del Premio Scerbanenco, direi fortunate – su un dialogo con Rizzoli davanti a una tavola imbandita di sushi. La collana Nero Rizzoli l’ho inaugurata io con “Un giorno di festa”, sesto romanzo de les italiens. Essendo che in un modo o nell’altro mi hanno sempre ereditato da un altro editore, mi è stato chiesto se avevo voglia di cominciare una nuova serie che fosse pensata proprio per la collana. Nel frattempo avevo pensato a un gruppo di persone che nella mia idea sarebbero stati gli antagonisti di Mordenti e compagni in un nuovo romanzo della mia squadra di poliziotti italo-francesi. Per la banda Ventura sono partito da lì. Ho deciso di dargli la loro serie ed è nato “Fuoco”. Si trattava di un gruppo eterogeneo di uomini e donne di età e origini etniche varie, evasi una ventina d’anni prima dell’inizio del romanzo, e che giunti a Torino, dopo varie peripezie, si erano rifatti una vita cambiando nome, trovando nuovi affetti e aprendo delle attività. Quando il romanzo inizia, pensano che quella sarà la loro vita, che nessuno li potrà più trovare. E invece succede il contrario. La scommessa era quella di raccontare una seconda occasione e la possibilità di “redimersi” dal passato criminale operando dalla parte della giustizia, raddrizzando torti e risolvendo quei cosiddetti casi freddi dimenticati dalla giustizia. Mi piaceva l’idea di quattro persone, Max Ventura, Sanda Jordano, Abdel Soltani e Vittoria Merz, che sono costrette a indagare dovendosi inventare giorno per giorno come fare.
2. Puoi descriverci il profilo di Max Ventura, il leader della banda? Quali sono le sue peculiarità?
Max è il vero delinquente del gruppo, lui rapinava le banche, frequentava il vero milieu criminale e, probabilmente, nel corso della sua carriera di delinquente ha anche ucciso delle persone. È il più anziano del gruppo, più o meno a metà della cinquantina, e per queste ragioni fin dall’inizio, all’epoca della fuga rocambolesca, dai suoi compagni è stato considerato una sorta di guida. Anche spirituale, se vogliamo. È un uomo dal passato torbido, violento, che conosce l’ambiente alla perfezione. Nel tentativo di liberarsene, ha relegato tutto questo al fondo della sua anima, ma nelle situazioni più tese e pericolose, l’essere feroce, questo demone che porta in sé, salta fuori e rischia di sfuggire al suo controllo. Lavora nel ristorante che ha messo in piedi assieme a Federica, la sua compagna, l’Évêché, dove la cucina è un misto di francese e piemontese. È forse quello che sente più forte il bisogno di redenzione che proviene dal compito che l’uomo che li ha scoperti e li ricatta, Numero Uno, li costringe a fare. È molto legato ai suoi compagni e la loro sicurezza è per lui l’elemento più importante.
3. Sanda Giordano è un personaggio affascinante. Quali elementi hai considerato per costruire la sua personalità?
La pelle nera che riflette la luce con lampi color ambra, gli occhi scuri, la criniera che le incornicia il viso, ne fanno l’immagine stessa della potenza a malapena trattenuta. Basta un nulla per scatenarla, una parola, una frase, uno sguardo che non le piace. È originaria del Madagascar e porta sulle spalle la fatica di vivere che l’accompagna da tutta la sua breve esistenza. Di poco oltre i trent’anni, è la più giovane del gruppo, la più dinamica, infiammabile dalla minima scintilla. Ama l’aikido di cui è cintura nera ed è proprietaria di una palestra di arti marziali con il suo compagno Salvo. Sente sulle proprie spalle il dolore dei più deboli, delle donne sfruttate, di chi ha meno. Non rinuncia mai a mettersi in gioco quando i principi in cui crede vengono a mancare. È una donna riflessiva, anche quando è costretta a menare le mani. Al contrario dei suoi compagni, che in qualche modo se ne sono fatta una ragione, non ama affatto Numero Uno che considera un’intrusione intollerabile nell’esistenza tutto sommato accettabile che si era creata afferrando la seconda occasione offertale dalla vita. Per questo no perde occasione per provocarlo e lanciare frecciate nei confronti dell’uomo che li tiene in pugno. Frecciate che si infrangono contro il muro di gomma formato dall’ironia del vecchio.
4. Abdel Solani ha un passato complesso. Da dove nasce la sua storia e in che modo arricchisce la dinamica del gruppo?
Abdel, lo confesso, nasce dalla mia passione sfegatata (e mai soddisfatta) per le auto d’epoca. In linea di massima ne guida una diversa ogni romanzo, non necessariamente le mie preferite. Dei quattro è forse il personaggio più introverso, non ha un grande sense of humor, ma supplisce con una certa ironia e con il fatalismo proprio di quei popoli che nella storia hanno dovuto essenzialmente subire. La seconda occasione, che ha colto assieme ai suoi amici, gli ha permesso di realizzare il suo sogno, un’officina tutta sua dove, in maniera del tutto legale, ripara e tiene come gioielli per i suoi clienti le preziose automobili che gli piacciono tanto. Ha una relazione con Teodoro, un grosso avvocato cittadino, al quale è legato non solo per affetto, ma anche dalla passione per le auto classiche che entrambi amano molto. La sua vita è stata difficile e questo lo ha indurito. Nei momenti difficili si nasconde dietro una sigaretta accesa e riflette, cosa che i suoi compagni spesso tralasciano di fare. L’incontro con la giustizia non è arrivato inaspettato, ma gli ha insegnato che non sempre la linea migliore tra due punti è una retta.
5. Vittoria Merz sembra portare un elemento di imprevedibilità nella banda. Come hai pensato a lei e quali sfumature volevi darle?
Vittoria è nata da diverse esigenze. Intanto mi ha sempre attirato la bellezza un poco trascurata, quell’eleganza che traspare da certe donne anche se fanno di tutto per tenerla nascosta o perché, per i più svariati motivi, ne sono totalmente disinteressate. Il secondo motivo è che mi piaceva l’idea che uno dei personaggi provenisse da un ceto sociale molto più elevato di quello degli altri. E vittoria viene da una famiglia quasi aristocratica, dove le dinamiche famigliari sono spesso difficili e le incomprensioni profonde molto diffuse. Ultimo, ma non meno importante, era la necessità di avere il personaggio di una ragazzina di sedici anni, Matilde, che potesse dare al gruppo un lampo di contemporaneità e che non poteva che essere figlia di Vittoria. Ne è nato così un personaggio complesso e piuttosto ombroso. Vittoria è la più fragile, forse quella che dalla cattura avrebbe più da perdere. È una donna solitaria, riflessiva, spesso introversa, la cui bellezza interiore ed esteriore traspare dalla sua involontaria raffinatezza.
6. Quali fonti hai consultato per creare questi personaggi? Ci sono esperienze reali che ti hanno influenzato?
Non ho esperienze reali in questo campo. I detenuti che ho conosciuto tramite le visite in carcere dovute ai miei romanzi non mi hanno dato informazioni, se non in maniera marginale, utili a costruire dei personaggi come la Banda Ventura. Sono quindi dovuto ricorrere alla fantasia, cercando di immaginare quanto la vita di un individuo possa influire sulla sua esistenza futura, sulle scelte che sarà costretto a fare e dove queste scelte lo porteranno. Mi interessava esplorarne due effetti: la deriva su una brutta strada, che li ha condotti in carcere, e la successiva necessità di una redenzione dal male, che in fondo si concretizza grazie al lavoro che li costringe a fare Numero Uno.
7. Il cinema o la letteratura noir hanno avuto un impatto nella costruzione della Banda Ventura?
Il cinema e la letteratura hanno occupato una parte enorme della mia esistenza. Già da ragazzino avevo letto moltissimi libri e nell’adolescenza il cinema è entrato pesantemente nella mia vita. Ho passato anni a vedere praticamente tutto ciò che è stato prodotto dal 1900 fino alla metà degli anni Ottanta, che alla fine è il periodo del cinema che io considero più importante e, in un certo qual modo, definitivo. E lo stesso è successo con i libri, attraversi i quali la ricerca è stata pressoché infinita. Quindi sia il cinema che la letteratura hanno certamente un grosso impatto su ciò che scrivo, su come lo scrivo e sui miei personaggi.
8. Come hai lavorato sulle dinamiche relazionali tra i membri della banda? Avevi un modello di riferimento?
A me piace molto lavorare con il gruppo, più che con il personaggio singolo. E più i componenti del gruppo sono differenti e hanno personalità diverse, più mi diverto. Diciamo che sette romanzi de Les Italiens mi hanno abituato alle dinamiche che muovono una squadra di individui. Con loro ho potuto esplorare e sperimentare le dinamiche, le collaborazioni, i contrasti ma anche i momenti belli. E nella Banda Ventura credo di aver applicato e perfezionato queste conoscenze. Il gruppo ti costringe a essere creativo, a non dimenticare mai nessuno e quindi a mantenere un ruolo per ciascuno di loro. Inoltre ti dà la possibilità di avere capacità diverse e di poterle mettere insieme. È un’entità imprevedibile e questo fa parte del suo fascino.
9. C’è stato un personaggio che ti ha divertito particolarmente nel processo di scrittura?
10. Possiamo aspettarci un’evoluzione inaspettata per i protagonisti nei tuoi prossimi romanzi?
Ogni scarpone è bello a mamma sua, si dice, ma in effetti il personaggio che mi intriga di più è Sanda, forse quello più complesso e sfaccettato. Anche se devo ammettere che se la batte quasi alla pari con Vittoria. Ma d’altra parte, i personaggi femminili mi hanno sempre intrigato più di quelli maschili. Sono interessanti, sfaccettati, ti costringono a usare l’immaginazione, a immedesimarti. E scatenano la mia creatività
11. Ultimo ma non ultimo, puoi parlarci di Numero Uno e della sua personalità diciamo molto complessa?
Numero Uno è il deus ex machina di tutta la vicenda, senza di lui, senza il suo passato, non esisterebbe la Banda Ventura. È lui che li ricatta con la minaccia di rispedirli in galera e li utilizza ai propri fini. Le indagini che li costringe a fare, tuttavia, hanno sempre un fondo di umanità o di empatia. È una persona di cui per ora sappiamo poco. Dirige un’agenzia di investigazioni che lavora sul territorio europeo dove, presumibilmente, utilizza con pressioni di qualche tipo altri individui simili alla Banda Ventura e li fa lavorare per conto suo. È un uomo anziano, ma vigile ed efficiente. Ha dei segreti e, certamente, nasconde scheletri nell’armadio. Ma ha la capacità di affrontare la vita con una certa ironia e, spesso, con parecchio sarcasmo. Prima o poi, di lui ne sapremo di più.
Intervista di Paolo Pizzimenti
La narrativa gialla vista dalla parte di chi indaga – La Banda Ventura
La narrativa gialla vista dalla parte di chi indaga – La Banda Ventura (Enrico Pandiani)
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