AVVISO AI NAVIGANTI Annie Proulx

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AVVISO AI NAVIGANTI, DI  Annie Proulx (minimum fax)

La cosa veramente bella in un rapporto è l’empatia. Quel certo non so che, per cui tu sai ciò che l’altro sta pensando o “passando” in un dato momento senza bisogno di proferir verbo…o viceversa.

Se il “miracolo” avviene per entrambi, si parla di amicizia per la vita. Di quelle che durano per sempre…a prescindere dal tempo che si trascorre insieme e dagli interessi ed amori che mutano…

Tutto questo sciocco preambolo per dire che, nonostante io sia poco propenso a seguire i consigli in tema di libri e cinema, a volte ci sono persone a cui non puoi dire di no per il semplice motivo che, fino ad ora, hanno sempre avuto ragione loro…

E dunque, quando la mia vecchia amica di Liceo mi ha detto: “credo questo libro ti possa piacere…”, l’ho letto. Semplicemente…

Senza badare a chi fosse l’autore (naturalmente, senza leggere la sinossi o la “quarta”, cosa che, del resto, non faccio mai…), a dare uno sguardo alla copertina o se vi fosse una prefazione e, persino, una dedica. Ho iniziato e, complice, un bagnato fine settimana, di un maggio altrettanto piovoso, in un vecchio e malandato casolare tra gli appennini irpini, l’ho finito in meno di un giorno.

 

AVVISO AI NAVIGANTI Annie Proulx

 

 

E, solo allora, ho visto che conoscevo l’autrice, Annie Proulx. Anche se non avevo mai letto nulla di suo. In quanto da un suo racconto era stato tratto il film “I segreti di Brokeback Mountain” di Ang Lee e, perchè, sapevo che aveva vinto, tra gli altri, il premio Pulitzer proprio per questo “Avviso ai naviganti”.

 

E debbo dire che il premio ci sta tutto. Un libro “intenso” (aggettivo che, di per se, può non voler dire nulla…o tutto, ed in questo caso è tutto). Nel senso di ricco, profondo, che racconta e trasmette emozioni e sensazioni. Non tutte belle, non tutte interessanti, non tutte utili…ma tutte, per l’appunto, intense. Perchè, in realtà, il canovaccio della storia è vecchio come il cucco: Quoyle, un giornalista non di grido che si innamora alla follia di una donna frivola e profondamente egoista (ma chi, in fondo, non lo è…) con cui tira su famiglia tra difficoltà e frustrazioni. Una storia come tante…e, come tante, finisce peggio. Un giorno viene licenziato e tornato con mille pensieri, un magone che gli arriva fin sotto le scarpe, e tribolazioni a non finire, a casa vi trova la babysitter che gli consegna un messaggio della moglie che gli comunica che lo abbandona per un ennesimo amante. Subito dopo un incidente da un lato gli restituisce le bambine, obbligandolo ad occuparsi delle stesse.

 

Quindi “cornuto”, “mazziato”, senza un lavoro ed un soldo e con due ragazzine di cui prendersi cura…Insomma lo stereoptipo del perdente per cui, comunque, non puoi non parteggiare. Dopo naturalmente avergli rifilato un bel paio di calci nel sedere a scopo terapeutico nel tentativo di dargli una scossa…

 

Fino a quando…il vento non fa il suo giro (frase in po’ stupida a pensarci bene, perché se il vento non fa altro che girare non può che tramutarsi in tempesta…ma tant’è in ogni romanzo c’è una chiave di volta).

 

Insomma nulla di particolarmente originale. Quello che lo rende tale è la bravura della Proulx. Una capacità narrativa e descrittiva fuori dalla norma, una padronanza di linguaggio e di vocaboli sorprendenti. Una scrittura ed uno stile asciutto e lineare. Tutto teso alla caratterizzazione di un caleidoscopio ricco e variegato di personaggi (Quoyle: “Sepolto in una corazza di carne… la testa a forma di melone, niente collo, i capelli rossicci mandati all’indietro, gli occhi color plastica… un mento mostruoso, una specie di mensola che gli sporgeva dalla parte inferiore del viso…”; l’ex moglie, Petal: “Se fosse appartenuta ad un’altra era, ed ad all’ altro sesso, sarebbe stata una specie di Gengis Khan. Quando sentiva il bisogno di vedere città distrutte, prigionieri terrorizzati, cavalli esausti per aver percorso i confini vacillanti del suo impero, lei si accontenta delle modeste vittorie offerte dai duelli sessuali. E si autogiustificava dicendo <E’ la vita> tra sè”; le due bambine una delle quali, Bunny, ha un vulcano dentro, in continua eruzione, pronta ad aggredire chiunque ed abbaiare al mondo intero; la zia di Quoyle, Agnis, caratterialmente l’esatto opposto del nipote e il vero “vento del nord”, e che spinge verso il nord, nonchè chiave di volta del romanzo; ed, infine, la penisola di Terranova e la natura in generale che, forse, rappresentano il personaggio più importante del libro).

 

Il tutto cesellato da una profonda ironia di cui sono particolarmente ricchi i vari titoli che Quoyle immagina collegandoli a eventi personali prefigurandoli come possibili articoli da dover pubblicare, o molto più semplicemente si tratta di meri espedienti per rifuggire l’autocommiserazione.

 

Una delle cose più belle del libro, a mio giudizio, sono i piccoli incipit che fanno da cornice ai titoli dei vari capitoli: brevi descrizioni, poesie, canzoni, citazioni da “Il grande libro dei nodi”, o testi che abbiano come protagonista il mare. Il mare come metafora della vita…che tutto dà e tutto toglie.

 

Un po’ come dice una canzone di Pierangelo Bertoli (nella versione della Mannoia):

 

“…Mare che non ti ha mai dato tanto

Mare che fa bestemmiare

Quando la sua furia diventa grande

E la sua onda è un gigante…”

Un po’ come la vita, per l’appunto…libro da leggere. Ottimo consiglio…

 

Recensione di Giovanni Pagano

 

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