ANTICHI MAESTRI, di Thomas Bernhard (Adelphi)
Stomachevole. Disgustoso. Abietto. Ripugnante (soprattutto ripugnante). Spudorato. Disdicevole. Insensato. Vacuo. Aberrante.
..questi sono solo alcuni degli aggettivi che nella prosa di Bernhard si ripetono ossessivamente di libro in libro, e anche in Antichi Maestri non c’è eccezione.
Centonovanta pagine di intransigente concione su qualsiasi argomento: dallo stato delle toilette austriache, alla austriaca politica, passando per le arti, la moda, le abitudini culinarie e quant’altro.
Centonovanta pagine scritte fitte come il discorso di un pazzo. O lo sfogo di un disilluso. Di un uomo che ha un tempo amato la società e i suoi prodotti culturali presumibilmente più alti, ed ora rifugge quella stessa società (sapendo di non poterne fare a meno) e rigetta tutto del suo mondo. Inutilmente.
Pateticamente. Nel senso di qualcosa intriso di pathos, ossia di dolore.
Un grande rigurgito di humanitas bernhardiana. Cinica, sfrontata e comica. Ironica ed autoironica. Insopportabilmente pedante. Irrimediabilmente buffa.
In mezzo alle macerie di questo mondo crivellato dal buio della ragione, però, una luce si fa strada per dare senso alla presunta fine di ogni volontà di agire ed essere.
È la forza imperitura (ed imperfetta) dell’amore.
Se sia amore romantico, fraterno o filiale lascio al lettore il piacere di scoprirlo.
ANTICHI MAESTRI ☆ Thomas Bernhard
Recensione di Marcello Ferrara Corbari
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