Un ragazzo si unisce a una banda di tagliagole impegnata nello sterminio degli indiani: una scia di sangue e violenza percorre il Texas, in un clima allucinato e surreale nel quale si muove un’umanità allo sbando.
Ispirato alle reali imprese di una posse di cacciatori di scalpi che tra 1849 e 1850 seminò morte e distruzione nella zona del confine tra Stati Uniti e Messico, Meridiano di Sangue è un racconto dagli innegabili toni pulp ma anche, soprattutto, un formidabile apologo sulla follia del mondo: il romanzo di McCarthy è un canto desolato che rievoca la Frontiera e i suoi miti ma la sua è una rievocazione sinistra e tenebrosa, molto lontana dalle atmosfere epiche del western cinematografico perché qui tutto suscita paura, mistero e stupore, sentimenti che sono perfettamente incarnati dal giovane protagonista e dalla magistrale figura del giudice Holden, un essere diabolico la cui potenza letteraria riempie ogni pagina.
Con la sua prosa asciutta ed essenziale, McCarthy non indugia su pensieri e coscienza dei personaggi, per lasciare al lettore il tempo di far affiorare i sentimenti personali e descrive scene di brutalità, morte, distruzione senza compiacimenti ma quasi evocandoli dagli abissi dell’animo umano, suscitando un terrore genuino, concreto e nello stesso tempo affascinante, come solo i grandissimi scrittori sanno fare.
Magistrale saggio narrativo, cui rende piena giustizia la traduzione di Montanari, Meridiano di Sangue è un capolavoro che non può mancare tra le letture di chi ama la letteratura del Novecento.
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