L’AGNESE VA A MORIRE Renata Viganò

L'agnese va a morire Viganò recensioni Libri e News

L’AGNESE VA A MORIRE, di Renata Viganò

Recensione 1

Che bel libro!
Non era facile parlare della resistenza senza retorica, senza autocelebrazione. Non era facile raccontare la vita di questa gente senza trattarli da eroi ma solo come donne e uomini che hanno difeso il loro Paese e quel poco che avevano attaccandosi disperatamente alla speranza di un domani migliore. Non era facile evitare continui e noiosi richiami storiografici che poco avrebbero giovato alla linearità del racconto che sembra quasi sospeso nel tempo e nello spazio tra le acque ferme e le nebbie delle valli romagnole.

Il racconto ruota intorno alla figura di Agnese, una donna che vive di lavoro e dignità facendo la lavandaia in una località indefinita della Romagna. Siamo nel 1943 e l’Italia è occupata dai nazisti; la popolazione è dilaniata dalle divisioni politiche e sociali e afflitta dai più elementari problemi di sussistenza. I partigiani si armano e organizzano azioni di guerriglia nei confronti dell’esercito tedesco e degli odiati fascisti.

Nel clima cupo dell’occupazione nazista e avvelenato dalle continue delazioni dei collaborazionisti il marito di Agnese viene deportato e muore. La donna, rimasta sola, reagisce ai soprusi di un soldato tedesco e crede addirittura di averlo ucciso. Agnese è costretta a fuggire abbandonando la sua casa e il suo paese. Inizia qui la parte centrale e, a mio parere, più bella e più importante del libro.

Agnese diventa staffetta della resistenza occupandosi di mille attività legate alla presenza di un gruppo di partigiani operativo nella zona di Comacchio e nascosto nelle valli di pesca. Sul filo del racconto, sempre coinvolgente nella sua semplicità, vengono descritti magistralmente luoghi e atmosfere. Ecco l’inverno nelle valli romagnole con nebbie e ghiaccio che strema i partigiani; ecco la povera vita dei contadini divisa tra miseria e speranza; ecco le azioni partigiane descritte senza enfasi o trionfalismi.

Agnese è testimone del tempo che scorre lentissimo fra freddo e miseria, fra i bombardamenti degli alleati e i rastrellamenti nazifascisti. Una narrazione esemplare ed anche molto semplice. L’epilogo è già contenuto nel titolo, non c’è nessuna anticipazione. Agnese è ormai esperta e disincantata. Ha visto morire decine di compagni, ha contrastato nazisti e fascisti. Non ha più paura di niente, neanche della morte che arriva beffarda per mano del tedesco che aveva colpito molti mesi prima e che, ancora vivo, casualmente, la riconosce e la uccide durante un rastrellamento.

Un libro abbastanza crudo ma bellissimo e soprattutto caratterizzato da una narrazione scorrevole e invitante. Un libro adattissimo soprattutto ad una lettura scolastica, nel periodo delle medie e medie superiori ma che si può e si deve leggere a qualunque età. Consigliatissimo.

Recensione di Stefano Benucci

 

Recensione 2

Ispirato a un personaggio realmente esisito e vincitore del premio Viareggio nel ’49, “L’Agnese va a morire” è un magnifico romanzo neorealista sulla resistenza italiana. La protagonista è una lavandaia delle Valli di Comacchio a cui i nazisti hanno portato via e ucciso il marito con l’accusa di aver ospitato un soldato disertore. Da questo infausto evento inizia a nascere nel cuore della donna un odio composto ma spietato verso i tedeschi che facevano i padroni, verso i fascisti loro servi, nemici uniti contro le povere vite inermi e indifese come la sua.

 

 

Decisa ad abbandonare il lavoro e la casa come per una scelta istintiva, Agnese offre il proprio sostegno a un gruppo di partigiani impegnati nella lotta contro l’occupazione straniera, accudendo con premura gli uomini della brigata. La realtà quotidiana è stancante, frenetica, carica di ansie per le rappresaglie, rastrellamenti e nascondigli, fino a quando non finisce per cadere nel silenzio col rumore di un mitra che spegne le parole!

Con grande coinvolgimento emotivo, Renata Viganò racconta la coraggiosa esistenza di un personaggio emblematico, una donna dal temperamento tenace al centro di un vicenda storica dall’elevato valore umano. Una scrittura sentita che narra l’importante testimonianza della vita e della morte, in tempo di guerra, con una voce capace di dare parole alla poesia dei paesaggi e al canto della tragedia.

Recensione di Gennaro Truglio

 

Recensione 3

Per apprezzare questo testo, pubblicato nel 1949, occorre inquadrarlo nel periodo storico di riferimento, la Resistenza e l’immediato dopoguerra. Deve la sua fortuna alla scelta dell’autrice di spogliare il suo racconto da pomposi discorsi politici o rivoluzionari, per lasciare parlare i fatti, I dialoghi sono scarni, le battute brevi e dirette, spesso sostituite dai gesti dei personaggi o dalla loro mimica, le parti narrative e descrittive rendono estremamente realistico l’ambiente e il clima dell’epoca.

 

Lìagnese va a morire Viganò
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Agnese è una donna del popolo, semplice e ignorante, si guadagna da vivere lavando I panni altrui ma nella storia lei è soprattutto un simbolo, e svolge un ruolo materno prima nei confronti del marito, catturato e ucciso dai fascisti, e poi fa da mamma anche nei confronti dei partigiani, li assiste e li aiuta proprio come farebbe una madre, ma lei madre non è e forse non è nemmeno buona; la grassa e vecchia Agnese è solo una donna semplice che ha vissuto sulla sua pelle tante ingiustizie, e consapevole di non avere più nulla da perdere, capisce per istinto che il suo dovere non è rimanere indifferente a quel che le accade intorno e decide di fare quanto può.

 

 

Prima si limita a svolgere attività sotterranee di staffetta per I partigiani, poi, in seguito all’uccisione di un soldato tedesco, è costretta alla clandestinità.

È un personaggio autentico ma nello stesso tempo è una anti eroina, non è bella e non è giovane, ma è ricca di quella umanità genuina che la fa somigliare al prototipo della mamma, della vicina di casa dalla quale ti aspetti solo del bene.

Proprio il suo aspetto poco femminile, quasi asessuato e il suo ruolo materno, assicura il successo di questa bella opera pubblicata nel 1949, periodo in cui molte donne impegnate nella resistenza e poi tornate a casa erano state spinte a tornare a rivestire il loro più tradizionale ruolo di mamme e moglie, molte addirittura avevano taciuto il loro ruolo all’interno della resistenza perché l’immagine di donne combattenti non era socialmente riconosciuto, accettato e considerato coerente con l’immagine della donna degli anni post guerra.

 

 

Sembra che la partigiana ideale, descritta da Renata Viganò, per essere accettata dovesse essere una donna informe, soprattutto materna e non più giovane, sappiamo che così non è stato, sappiamo che la donne partigiane sono state vecchie ma anche giovani e immaginiamo che non sia stato facile per loro entrare nella clandestinità e svolgere un ruolo paritario con gli uomini ma anche uscirne per un ritorno alla normalità che le ha di nuovo sospinte ai margini della vita attiva e della politica, ricordiamo che solo 21 sono state le donne nella Costituente e che le donne in Italia hanno avuto diritto di voto solo nel 1946.

Recensione di Patrizia Franchina

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