IL POSTO Annie Ernaux

IL POSTO, di Annie Ernaux (L’Orma)

 

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“Il posto” ha il potere di parlare a tutti noi di tutti noi. «È raro che l’arte raggiunga una perfezione così semplice.» – The New York Times

«Lotterò fino al mio ultimo respiro affinché le donne possano scegliere se essere madri o meno: la contraccezione e il diritto all’aborto sono un diritto fondamentale, la matrice della libertà delle donne». Sono le parole di Annie Ernaux, Premio Nobel per la Letteratura 2022. Presso la sede del suo editore, Gallimard di Parigi, sottolinea il suo impegno politico e femminista. Continua: «Certi Paesi, come alcuni Stati americani, vogliono mantenere la secolare dominazione sulle donne, vietando o limitando questo diritto». In un mondo composto di dominanti e di dominati, le donne purtroppo sono sempre appartenute al secondo gruppo e i loro diritti sono ancora troppo spesso calpestati.  Non illudiamoci, l’estrema destra «nella storia non è mai stata favorevole alle donne»; l’autrice cita poi l’Italia, in riferimento al recente trionfo elettorale del partito di Giorgia Meloni.

 

 

Annie Ernaux è la diciassettesima donna su 118 premiati dall’Accademia di Svezia, (in Francia la quindicesima autrice e prima autrice donna) a vincere il Premio Nobel per la letteratura «per il coraggio e l’acutezza clinica con cui svela le radici, gli allontanamenti e i vincoli collettivi della memoria personale».

Pubblicata nell’ultimo decennio in Italia da L’Orma (in passato era stata pubblicata da Rizzoli e Guanda), Ernaux è nata a Lillebonne (Senna Marittima) nel 1940, da una famiglia di modeste condizioni sociali.

L’editore L’Orma la presenta così ai lettori italiani: «nei suoi libri ha reinventato i modi e le possibilità dell’autobiografia, trasformando il racconto della propria vita in acuminato strumento di indagine sociale, politica ed esistenziale».

Nel suo discorso – incisivo e commovente –  tenuto presso la prestigiosa accademia di Stoccolma che invito tutti al ascoltare (https://lu-cieandco.blogspot.com/2022/12/le-discours-dannie-ernaux-pour-son-prix.html), ricorda la motivazione che sin da giovane darà voce alla sua rabbia e necessità di riscatto: «vendicare la mia razza». Alla formazione di questo pensiero ha contribuito Arthur Rimbaud che in “Una stagione all’inferno” (1873) esprime in maniera iperbolica la sua impressione di vivere, a livello individuale, una crisi profonda e irreversibile, sentendosi di appartenere a una “razza inferiore”.

 

 

Il rifugio nella letteratura era un’alternativa al disagio sociale che l’autrice provava a 22 anni, studentessa di umili origini in una facoltà di Lettere frequentata per lo più da ragazzi e ragazze borghesi. Scrivere diventava una necessità, leggere una continuità.

Sin dall’inizio l’obiettivo della scrittura sebbene centrato, non si rivela essere la risposta più adeguata alle esigenze di una donna in cerca della propria identità, prima ancora di una scrittrice in cerca della propria voce. Non basta diventare un’autrice affermata per riparare l’ingiustizia sociale della nascita in seno a una famiglia di contadini senza terra, di operai o piccoli commercianti, di gente disprezzata per i modi di fare, l’accento, l’incultura. Una vittoria individuale non può cancellare secoli di dominazione e di povertà. L’istanza porta a galla esigenze più impellenti. «Concepivo ancora all’epoca la scrittura come qualcosa in grado di trasfigurare la realtà.»

Ma la realtà la allontanerà dalla scrittura, un lavoro come insegnante, una vita di coppia con due figli, e per tanti anni la sensazione che pervade la scrittrice è quella del fallimento, di morire senza aver aperto la propria porta, senza aver scritto il libro che solo lei poteva scrivere.

 

 

 

La morte del padre e il desiderio di scrivere del padre fanno scattare in lei nuove spinte verso le pagine bianche. “Il posto” è il primo libro dove l’autrice inizia consapevolmente il vero cambiamento della parola scritta e consegnata al tempo della letteratura. In quanto transfuga di classe sociale grazie agli studi fatti, le parole nuove non sanno esprimere la realtà del vecchio mondo, quello del padre. E le parole vecchie, dice Annie Ernaux, sono suoni stranieri per le orecchie delle classi dominanti. Nessun tipo di parole in uso in questi due ceti sociali sanno esprimere la nuova visione dell’autrice, che in realtà non sviluppa senso di appartenenza per il suo nuovo status sociale, come d’altronde non aveva nemmeno per quello della propria famiglia. Ci vogliono nuove parole. Un nuovo sguardo sulla realtà. Un nuovo approccio per la memoria.

Si tratta del linguaggio dei dominanti e di quello dei dominati. Due mondi che si escludono. Parlare di suo padre con  le parole dei dominanti, sarebbe stato come tradirlo, parlare con l’urgenza e la violenza del mondo dei dominati sarebbe stato come usare un’altra lingua che loro non capiscono, di cui avrebbero avuto solo una percezione superficiale, in grado di decodificare solo la parte volgare e brutale senza cogliere l’essenza vera delle persone. La sfida è per Annie Ernaux usare le parole giuste, cercare un linguaggio il più neutro possibile. Limitarsi a descrivere senza giudizio o sentimenti. Consegnare al lettore l’oggetto che nella memoria è diventato.

 

 

 

La scelta della scrittura è in qualche modo imposta dalla società e dagli eventi. È doveroso interrogare la scrittura e chiederle se è di conforto o se disturba le rappresentazioni ammesse e interiorizzate delle persone e delle cose.

Annie Ernaux rimane sospesa in mezzo a questo dilemma e con grande coraggio sceglie un impegno di scrittura che diventa un impegno sociale e di utilità per tutti. Sceglie di azzerare il giudizio, il sé pensante, sceglie di far parlare gli eventi. La violenza così non viene esposta, ma scaturisce dai fatti stessi, non più dalla scrittura.

Non sono brava a parafrasare il Premio Nobel, temo aver sciupato il sapore del suo sublime discorso, per farmi perdonare, concludo con le sue parole intrise di quel significato che i suoi libri ci regalano e che ci piace perché lo ritroviamo nelle nostre vite.

 

 

 

«È così che ho concepito il mio impegno nella scrittura, il quale non è scrivere “per” una categoria di lettori, ma scrivere “basandomi” sulla mia esperienza di donna e di immigrata dell’interiore, scrivere basandomi sulla mia memoria che diventa sempre più lunga addizionando gli anni attraversati, basandomi sul presente, che continuamente fornisce immagini e parole di altri. »

Un impegno che per Annie Ernaux significa responsabilità sociale, consacrazione alla scrittura, abnegazione di se stessa nella costruzione del libro come se fosse una casa, non abitata da lei ma pronta ad accogliere i nuovi inquilini, i suoi lettori, nella convinzione che un libro possa «contribuire a cambiare la vita individuale, a spezzare la solitudine delle cose subite e sommerse, a pensarsi in maniera diversa. Quando l’indicibile viene alla luce, è politica.»

Recensione di IO LEGGO DI TUTTO DAPPERTUTTO E SEMPRE E TU? di Sylvia Zanotto

 

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