CADRÒ SOGNANDO DI VOLARE Fabio Genovesi

CADRÒ SOGNANDO DI VOLARE, di Fabio Genovesi

Fabio ha ventiquattro anni, è prossimo alla laurea in giurisprudenza e lo aspetta il praticantato presso lo studio dell’avvocato Ferroni. Sta per raggiungere gli amici a Siviglia, impegnati nel progetto Erasmus. Ma, dal distretto militare, arriva una cartolina che frantuma i suoi progetti e i suoi sogni, anche erotici.

 

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Deve partire per il servizio civile e fare l’educatore in un scuola media privata, ospitata all’interno di un convento. Ma giunto sul posto, in mezzo ai monti, scopre che la scuola è stata trasformata in un ospizio per preti, priva o quasi di pazienti. Ad informarlo è Don Mauro, custode del convento, tutto preso ad aggiustare, parlare e ripetere, ripetere, parlare e aggiustare. Flora, alta un metro o poco più, invece, abita giù in paese ed ogni giorno viene a cucinare, fare le pulizie e curare il pollaio, accompagnata da sua figlia Gina, che si crede una gallina e solo in mezzo a loro è felice. In questo microcosmo popolato da personaggi strampalati, manca ancora il più strano di tutti. Il suo nome è Don Marino Basagni, il direttore, un ex missionario recluso nella sua stanza, poco incline alle buone maniere e a farne le spese è il povero Fabio, che si deve occupare della sua igiene personale e che stenta a riconoscere in lui, tra una parolaccia, un’imprecazione e le canzoni dei Doors, un uomo di chiesa.

 

Nulla sembrerebbe smussare il caratteraccio di Don Basagni, ma ecco comparire, all’orizzonte, una bicicletta e un bandana.

È l’estate del 1998. Dopo quattro anni di sfortune, di incidenti, di gatti che gli attraversano la strada, Marco Pantani ha l’occasione di prendersi la rivincita, al Giro d’Italia. Tappa dopo tappa, Fabio e Don Basagni si uniscono a tutti gli italiani in un estasiato e bellissimo incitamento collettivo a questo ragazzo di cinquantacinque chili, che non fa strategie, ma corre d’istinto e che spazza via, con i suoi scatti, uno sport fatto di calcoli, di computer, di strategia, di noia, riportandolo indietro, fino a ricordare un passato ben più glorioso.

Quell’estate, Marco Pantani, scrive la sua storia personale e quella del ciclismo, entrando definitivamente nella leggenda.

Quell’estate, Fabio, ispirato dalle gesta del Pirata, dal suo coraggio, dalla caparbietà con cui si rialza dopo ogni caduta, non solo sportiva, trova la forza per liberarsi dai sensi di colpa e dal senso del dovere che si stavano sostituendo a lui nelle scelte importanti della vita, quelle che contano.

 

«Perché tra il possibile e l’impossibile c’è un confine che fa paura, ma per superarlo basta che qualcuno faccia un passo, uno solo più in là, ed ecco che quel confine si sposta, per lui e per tutti».

Fabio Genovesi ci regala, ancora una volta, una storia che sembra una favola.
Perché fa sognare ed emozionare e infonde speranza in ognuno di noi. Lo fa con una trama sicuramente semplice, dove l’ironia dei dialoghi si ritaglia una parte importante del romanzo.
Ci dona dei protagonisti buoni. I cattivi li lasciamo da parte, per questa volta.
Ci lascia un dipinto, perché quando chiudi il libro, ti resta un’immagine ben chiara in testa: quella di Fabio e di Don Marino, chiusi in una stanza, tra le montagne, a guardare alla televisione il Giro d’Italia, durante un’estate indimenticabile. Una stanza buia, che si apre di nuovo alla vita.

Buona lettura!

Recensione di Chiara Castellucci

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