AL MARE CON LA RAGAZZA Giorgio Scerbanenco

AL MARE CON LA RAGAZZA, di Giorgio Scerbanenco

Due ragazzi nati in periferia con il sogno di vedere il mare, una donna della media borghesia irrimediabilmente sola e il suo algido compagno, una sorella con turbe psichiche, un balordo di mezza tacca, un garagista armato, una segretaria vocata al lavoro (anche lei molto sola), un avvocato della Venezia Giulia, un ristoratore romagnolo e una bambina che si perde in spiaggia. Questi i personaggi principali del bel romanzo di Scerbanenco, che si affastellano nell’arco di una narrazione asciutta, a tratti disperata, dentro la sinfonia di una scrittura bellissima. Scerbanenco non sbaglia una virgola (nel senso letterale del termine): immenso scrittore.

 

Al mare con la ragazza Scerbanenco
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Sullo sfondo molte città e luoghi scorrono, mentre i due ragazzi della periferia milanese si avventurano, per la prima volta, in un viaggio agognato sin dall’infanzia, alla volta di quel mare che sognavano nelle pozzanghere di città. Qualcosa andrà storto. I destini che la penna di Scerbanenco incrocia, si ingarbuglieranno.

La caratteristica stupefacente di questo fuoriclasse della narrativa è il suo approccio alla scrittura: lui non aspettava ispirazioni, ma scriveva, ogni giorno, partorendo storie in maniera torrenziale. Era un pozzo infinito di racconti.

Lui era uno scrittore.

Come qualsiasi altro lavoratore che produce attraverso le sue fatiche, lui “produceva” storie, le scriveva. Ogni giorno, per circa otto ore, indefesso. Questo artigiano della scrittura, narrava attraverso racconti, romanzi, articoli, con devozione, amore e passione infinita, sicuramente supportato da talento cristallino, ma di fatto con la stessa fatica e la stessa abnegazione di qualsiasi altro lavoratore.

 

 

Scerbanenco, fra gli scrittori del Novecento italiano, è stato forse il primo (e l’unico?) che ha fatto della scrittura un lavoro, nella sua accezione più nobile e dignitosa, per dirlo alla napoletana: una fatica.

Questo modo d’intendere il suo impegno fa di Scerbanenco un autore unico.

Si legge di lui che riusciva a scrivere a velocità parossistica e a rispondere a qualsiasi richiesta editoriale, passando da un genere ad un altro con disinvoltura inaspettata, proprio come un parrucchiere, un cuoco, un barista, rispondono alle richieste della clientela.

Si legge pure che pare non abbia finito nemmeno le scuole elementari. Questo sbalordisce: il talento e l’impegno, in altre parole il lavoro, che forma (anche a livello culturale) ancor prima del percorso scolastico.

Leggendo la sterminata produzione letteraria di Scerbanenco viene da pensare al talento e alla passione, magicamente allineati. Al traino di questo connubio così raro tanta dedizione al lavoro.

 

 

La sua scrittura è asciutta, priva di fronzoli, graffiante. Racconta l’Italia del boom e di buona parte degli anni Sessanta che lui indagò, scrivendo in modo torrenziale, prima di scomparire prematuramente (morirà nel 1969). Tempi di benessere dirompente e di violenza metropolitana. Un’Italia, quella raccontata dal dinoccolato romanziere, ancora provinciale ma al tempo stesso rivolta all’emancipazione e alla modernità. Tutto cambiava a velocità inaspettata. Le città esplodevano, si rigonfiavano di anime. Tutti avevano una fretta dannata di scrollarsi di dosso fame e guerra, ancora sedimentate negli animi di chi le aveva vissute.

Un Italia modernissima, quella che racconta Scerbanenco, come moderna è la sua scrittura, che travalica il genere per imporsi come stile. Lui è stato un apripista per tutti quelli che, dopo di lui, si sono cimentati, in Italia, col genere noir (oggi così “frequentato”).

Ecco se si dovesse necessariamente trovare un aggettivo per definire Giorgio Scerbanenco, questa parola sarebbe “moderno”.

Moderno, davvero, nell’accezione migliore del termine.

Da leggere. Da conoscere.

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