STORIE DELLA CITTÀ DI DIO. Racconti e cronache romane 1950-1966 Pier Paolo Pasolini

STORIE DELLA CITTÀ DI DIO. Racconti e cronache romane 1950-1966, di Pier Paolo Pasolini (Einaudi)

           

Sono passata nel tuo Friuli, Pier Paolo. Il profumo della tua terra mi ha ricordato la tua predilezione per i suoni veri e le parole in uso. Il parlare della gente. Che svela il loro modo di pensare, di reagire, di capire, di amare.

Vuei a è Domènia,

doman a si mòur,

vuei mis vistís

di seda e di amòur.

Scritta in friulano e in quartine, questa bellissima poesia incanta. Rivela. Commuove. Tradotta in italiano la prima quartina fa più o meno così: «Oggi è Domenica, // domani si muore, // oggi mi vesto // di seta e d’amore.»

Vorrei non aggiungere altro, perché fragile e poco capace io, confusa e poco chiara la mia mente, con pochi strumenti per cogliere tutto il mondo complesso e immenso che accompagna il nome di Pier Paolo Pasolini. Mi limiterò a poche riflessioni nate dopo la lettura di “Storie della città di Dio” senza cercare di spiegare, ma lasciando che sia il solo incanto a riempire il mio respiro di lettrice.

 

 

Pier Paolo Pasolini, cent’anni fa era in fasce. A distanza di tutto questo tempo, l’immagine di un bambino appena nato non è, certo, la prima che ci appare pensando al gigante che poi fu in vita. Invece è proprio questo essere fragile e indifeso che vedo oggi sovrastare su tutti i suoi scritti e quelli dei suoi contemporanei che compongono la letteratura e la storia del pensiero del secolo scorso. La sua è per me una delle menti più complesse da penetrare, più affascinanti da scoprire, più acute da rimirare. Ma è lo sguardo bimbo che consente all’uomo adulto, formato, istruito, colto e attento a trasformare tutto quello che tocca in poesia.

Lui stesso diceva di essere un feto adulto. Il suo è stato un pensiero senza pregiudizio. Uomo infaticabile e amante della vita, passava le giornate chino sui libri o sui quaderni e le notti alla ricerca della vita vissuta. Vi era in lui tutta la complessità e tutte le contraddizioni del genere umano che ben sapeva raccontare con l’uso colto e fisico delle parole, gergali, dialettali, italiane. L’ingente quantità di parole che ci ha lasciato grazie a un suo senso del dovere non nei confronti degli altri, ma di se stesso e del senso che lui dava alla vita, sono il frutto di un’ostinazione quotidiana alla fatica.

Nel 1950 Pasolini approda a Roma, povero ma ricco di parole scritte e da scrivere. La situazione precaria, insieme ad altre questioni che lo affliggono, senonché la scoperta di Roma, della sua bellezza ma anche di tutte le sue mille incoerenze, lo spingono a scrivere questi brani, ora racconti, che s’ispirano alla gioventù delle borgate romane, ora pezzi giornalistici e reportage, nati dalla sua grande passione politica e sociale.

“Storie della città di Dio” è un’antologia di fiction e non-fiction a cura di Walter Siti che raccoglie scritti pubblicati su riviste e quotidiani come “Il mattino d’Italia”, “Il Quotidiano”, “La Libertà d’Italia”, “Il Popolo di Roma”, “Orazio”, “Il Cavallo di Troia”, “L’Unità”, “Rotosei”, “Vie Nuove”, “Paese sera”. Il titolo deriva da un appunto dello stesso Pasolini su una cartella in cui raccoglieva idee e materiale forse per un futuro romanzo. Il risultato è un libro eterogeneo, ricco di spunti di riflessione e denso di immagini emozionanti. Poesia, denuncia, innovazioni linguistiche si alternano in un fluire particolarmente gradevole e accattivante per il lettore.

 

 

Nell’intervista di Luigi Sommaruga, pubblicata su “Il Messaggero”, e riportata in post-fazione, scopriamo che la Roma amata da Pasolini è agender: «Eh, ma le attribuirei un sesso né maschile, né femminile. Ma quello speciale sesso che è il sesso dei ragazzi.» (p 162); che Pier Paolo Pasolini cercava sopra ogni cosa le qualità genuine proprie dei bambini: «sebbene ingenuo, il giovane, l’uomo romano cerca sempre di non mostrarsi ingenuo, ecco. Questa espressione “anvedi” invece denuncia un’improvvisa capacità di stupore. E allora mi piace molto.» (p 168)

Nel racconto “Ragazzo a Trastevere”, questa sorpresa è del narratore: «lo straordinario è che a un certo punto egli mi parla. – A moro – dice – sai che or’è? – Se si fosse alzato e mi avesse gettato in pieno petto la graticola infuocata mi avrebbe sorpreso di meno.» (p 7), il quale rimane bloccato, quasi impossibilitato ad entrare nel luogo sacro dove si svolge la vita vera: «io giro intorno al cerchio, ma non entro: il cuore del ragazzo precedente all’ora che il mio orologio non segna, negli anni scontati, vive troppo sepolto nella miseria.» (p 7)

 

 

In un altro racconto “Castagne e crisantemi” il lettore s’innamora del giovane venditore di caldarroste: «dove terminava il ragazzo e dove cominciava l’odore dei suoi frutti? Erano uno dentro l’altro, solidi e vivi, una sola creatura.» (p 28). La vita e la morte, la gioventù e la vecchiaia si calano nei panni del ragazzo e di un’anziana signora: «la vecchia venditrice dei crisantemi, […] di quanti Autunni, o Estati […] aveva memoria nella sua memoria trasteverina? ma dal loro profumo lei era ben distinta: il dialetto con cui pensava le cose non le ricreava più; il suo vecchio romanesco era inaridito: prosa, vecchiaia.» (p 29) Poesia e profondi analisi della realtà si mescolano: «ma quello che fra dieci, dodici, cento autunni resterà uguale, sarà l’odore dei crisantemi, delle castagne. Mistero fisso, mistero fossilizzato, garante di immutabilità. La Specie potrà sempre ricercarvi il suo tempo perduto.» (p 30)

 

 

Perché in fondo Roma è contrasto e le incompatibilità umane si sommano. In un altro racconto, “Città malandrina”, Pier Paolo Pasolini si rivolge ai suoi lettori con la domanda: «ma Roma sarebbe la città più bella del mondo se, contemporaneamente, non fosse la città più brutta del mondo?» (p 105). E in un altro racconto, “I tuguri” arriva un’immagine meravigliosa: «vedendoci passare con la macchina, uno, un maschietto, ormai ben piantato malgrado i suoi due o tre anni di età, si mise la manina sporca contro la bocca, e di sua iniziativa tutto allegro e affettuoso, ci mandò un bacetto…»  (p 131)

Il piccolo romano, tutto sporco di fango, che invia un segno di amore e di accoglienza. Un gesto che piace a Pier Paolo Pasolini, il grande uomo poeta bambin nel cuore.

 

Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto  

 

STORIE DELLA CITTÀ DI DIO. Racconti e cronache romane 1950-1966 Pier Paolo Pasolini

 

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