VIA DALLA PAZZA FOLLA, di Thomas Hardy
In seguito a un rovescio di fortuna, un pastore di nome Gabriel si trova costretto a lavorare come sottoposto di una giovane e irrequieta fittavola, alla quale tempo prima aveva dichiarato il proprio amore, ottenendo un rifiuto.
La stessa ragazza rimane sorda anche alla proposta di matrimonio di Boldwood, contadino serio ma che nasconde una vena di follia, mentre si infatua del vanesio e arrogante sergente Troy, il cui carattere leggero e inaffidabile è già stato la rovina della sventurata Fanny e mette a repentaglio anche la fattoria della nuova moglie; la vicenda si complica tra salvataggi agricoli, morti vere e presunte, tragedie sfiorate e immancabile finale consolatorio.
Via dalla pazza folla è un romanzo in cui l’ambientazione rurale è al centro di ogni vicenda: Hardy descrive un mondo bucolico e agreste i cui idilli hanno uno svolgimento sereno e un lieto fine obbligato, nonostante la potenzialità drammatica.
Scene campestri e momenti corali sono il filo conduttore di tutto il romanzo, che richiama, come svolgimento e toni, il melodramma teatrale, in cui la tragedia assume le forme di un temporale che minaccia, colpisce ma si allontana senza fare altri danni che lo spavento.
Consiglio di scegliere una traduzione recente e stare alla larga da quella di Jahier, per molto tempo l’unica disponibile e ancora riproposta da certi editori, pesante, ampollosa e inutilmente farraginosa.
Recensione di Valentina Leoni
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