TACCUINO DI UN ALLEGRO UBRIACONE Charles Bukowski

Charles Bukowski, definito una rockstar della scrittura, è davvero in grado di attirare masse di lettori con i suoi racconti di sé e della sua vita ai margini.

TACCUINO DI UN ALLEGRO UBRIACONE, di Charles Bukowski

«Non c’è nulla di male nella poesia che diverte ed è facile da capire. Il genio potrebbe essere l’abilità di dire una cosa profonda in modo semplice.» (Intervista sul mestiere dello scrittore di William Packard, New York Quarterly, p. 296)
«I racconti mi hanno aiutato con l’affitto e il romanzo era un modo di raccontare quante cose diverse possano capitare allo stesso uomo sulla via di suicidio, pazzia, vecchiaia, morte naturale e innaturale.» (Intervista sul mestiere dello scrittore di William Packard, New York Quarterly, p. 298)

 

Il “Taccuino di un allegro ubriacone” è diviso in tre parti: la prima è composta da racconti, la seconda dalle recensioni di Bukowski, la terza dalle interviste a Charles Bukowski. Il primo impatto con questo libro, almeno per me, è stato di repulsione: troppe parolacce e un linguaggio maschilista volgare, una visione superficiale dell’universo donne che si limita a parlare di tette e culi. Ma poi giri la pagina e in mezzo alla prosa scabrosa, brilla un verso di poesia pura. E allora lo ami. Così com’è.

TACCUINO DI UN ALLEGRO UBRIACONE Charles Bukowski A Charles Bukowski gli perdoni tutto. Capisci che dietro un linguaggio crudo, uno sguardo ‘sporcaccione’ ci sono le pulsioni vitali di chi per vivere o bere, che per Bukowski era la stessa cosa, ha sempre dovuto lottare. Nei racconti emerge la sua difficoltà quotidiana a fare i conti dopo aver bevuto dozzine di birre o bottiglie intere di whisky e dopo aver speso gli ultimi centesimi alle corse. E l’affitto? Come si paga l’affitto? Minimalismo o ‘Dirty Realism’ se vogliamo etichettare la scrittura di Bukowski, sì, possiamo parlare di uno “stile caratterizzato dalla tendenza alla sobrietà, dalla precisione e dalla stringatezza estrema nell’uso delle parole per le descrizioni.” Questa descrizione di Wikipedia coincide con la mia sensazione da lettrice. In Bukowski, è proprio vero, gli oggetti, i personaggi, le situazioni sono descritte nel modo più conciso e semplice possibile. L’uso di aggettivi, avverbi, orpelli vari si riduce al minimo; è il contesto che deve suggerire il significato profondo dell’opera. I personaggi sono così come sono nella realtà: volgari, semplici, banali, spesso in cattive condizioni economiche, alle prese con la vita dei cessi, del dopo sbornia, del vomito e delle scorregge.

 

 

Ecco, sì, Heinrich Karl Bukowski, vero nome di Charles Bukowski, fu uno scrittore prolifico che riuscì ad usare la sua penna per tratteggiare la dissolutezza della società americana e gli emarginati delle grandi metropoli. Scrittore di culto, Bukowski ci regala prosa e poesia scaturite dall’esperienza, dove emozione e fantasia si fondono in un linguaggio diretto, immaginario, violento e sessuale. Mentre gran parte della critica pensa che il suo stile sia offensivo, in tanti sostengono che Bukowski sia riuscito a dipingere in modo satirico il machismo attraverso i suoi riferimenti al sesso, all’abuso di alcol e alla violenza. Ha scritto sei romanzi, centinaia di racconti e migliaia di poesie, per un totale di oltre sessanta libri. La sua opera tratta della sua vita, caratterizzata da un rapporto morboso con l’alcol, da frequenti esperienze sessuali e da rapporti burrascosi con le persone. A tredici anni beve per la prima volta il vino, grazie al suo amico William “Baldy” Mullinax, chiamato nei libri Eli LaCrosse, figlio di un chirurgo alcolizzato. «Se succede qualcosa di brutto / si beve per dimenticare; se succede qualcosa di bello / si beve per festeggiare; e se non succede niente / si beve per far succedere qualcosa.».

 

Charles Bukowski, definito una rockstar della scrittura, è davvero in grado di attirare masse di lettori con i suoi racconti di sé e della sua vita ai margini. “Taccuino di un allegro ubriacone” è il titolo italiano. Quello originale “The mathematics of the breath and the way. On writers and writing” è il titolo del primo racconto. Come abbiamo già detto è suddiviso in maniera netta in tre sezioni principali: sembrerebbe un libro adatto agli studiosi. Ma “Taccuino di un allegro ubriacone” nonostante non abbia un nucleo centrale, lascia trapelare la grandezza dell’autore alcolizzato. I racconti affascinano, per la loro storia e per essere pubblicati in riviste minori. I redattori dei piccoli giornali, che per anni lo hanno ignorato, favorendo voci inautentiche della poesia diventano il suo bersaglio preferito. «Oggi mi sono imbattuto in un tizio all’angolo, barba nera, mi ha chiesto 50 centesimi. Sono contento di non averglieli dati. Poteva benissimo essere un redattore di qualche rivista minore». Commenti simili non devono però far pensare a un astio duraturo perché Bukowski accantonava tutto per un bicchiere e si sa, l’alcol fa dimenticare. La descrizione che fa di sé nei racconti, nelle recensioni, nelle interviste è quella di uno scrittore con la radio sintonizzata sulla stazione di musica classica, birra e pacchetto di sigarette, davanti alla sua macchina da scrivere. Sardonico, corrosivo, ironico, in questi testi Charles Bukowski si dedica ai suoi temi più cari: le donne, il sesso, l’alcol, le corse dei cavalli, dispensando consigli a scrittori esordienti e non, con una dose di follia e anarchia che non smette mai di stupire. E che regala sempre attimi di magia. Come il brano in cui Bukowski rivela il vero motivo della sua avversione alla leva e quello in cui, per la prima volta, spiega l’origine del nome Chinaski, il suo alter ego letterario: Chinaski è colui che meglio di chiunque altro sa incassare i pugni sul mento (chin) e le beffe del destino. «Nelle poesie dico la verità. Il resto è verità mischiata a fiction. La fiction è un espediente per migliorare la vita». (p.147) E a noi, ci piace l’espediente Bukowski! Un consiglio: leggete Bukowski con un bicchiere in mano! E in allegria!

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