
Quinta lezione americana di Italo Calvino, La Molteplicità: QUER PASTICCIACCIO BRUTTO DE VIA MERULANA Carlo Emilio Gadda

“Sosteneva, fra l’altro, che le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato una molteplicità di causali convergenti.”
Roma, primavera del 1927.
Mussolini da Presidente del Consiglio si sta trasformando in Duce del Fascismo.
Dai giornali è bandita la cronaca nera, gli italiani “devono” sentirsi al sicuro (una sicurezza che viene garantita con la violenza da parte del nuovo regime).
Eppure in Via Merulana al civico 219 avvengono nell’ordine: una rapina di gioielli nell’appartamento di una giovane vedova e qualche giorno dopo, l’efferato omicidio di una donna, Liliana Balducci.
Ad indagare sui due casi viene chiamato il Commissario della Squadra Mobile Francesco Ingravallo, che “tutti oramai chiamavano Don Ciccio”.
Un giallo? Direi che Gadda va ben oltre, lui che per molti è il più grande innovatore tra gli scrittori italiani del 900.
Il Pasticciaccio è una polifonia, è un romanzo corale, è un giallo che non finisce.
E’ un romanzo poliziesco, perché prende spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto nella capitale, ed è un romanzo filosofico perché esprime già nelle prime pagine il pensiero di Ingravallo, che altro non è che l’alter ego di Gadda: nulla si può spiegare se ci si limita a cercare una causa per ogni effetto, ogni effetto è determinato da una molteplicità di cause.
Ed ecco che allora si svela anche la Molteplicità calviniana…
Tutto parte dalle quattro mura di un appartamento, per poi allargarsi al condominio, per poi espandersi nel quartiere, per poi esplodere nella periferia e nella campagna laziale per poi finire…nel nulla…
Ad un certo punto, dell’intreccio poliziesco, ce se ne dimentica, non importa più chi è il colpevole o i colpevoli.
E’ il mistero che conta, mistero che è metafora della vita stessa.
Ingravallo si muove per indagare tutto ciò che sta a monte del delitto, quello che ricerca è il ventaglio di concause che fanno sì che il Male si manifesti, Male profondamente radicato nell’uomo, nella sua fallibilità. E allora quello che si percepisce è la sua tensione verso la conoscenza, che sembra essere sempre a portata di mano, e poi per un nuovo dettaglio si allontana di nuovo, e così all’infinito.
Tutto si amplifica, si allarga, si deforma, si modifica, si snatura, devia svelando il disordine che esiste sotto una parvenza di “normalità”, la verità è sempre sotto, dentro le cose e non è neanche detto che venga a galla.
Il Pasticciaccio è il romanzo di Roma, su Roma scritto magistralmente da un milanese.
La Roma sbraitante, caciarona e stracciona, la Roma dei grandi monumenti, vie, piazze, chiese, palazzi, colli…un immenso e infinito reticolo che si intreccia senza un unico centro.
Il Pasticciaccio è il romanzo sul linguaggio, Gadda è il “signore della prosa”, un linguaggio frutto di una ineguagliabile combinazione di dialetti, arcaismi, espressioni popolari e dotte, citazioni letterarie, artistiche e scientifiche; un linguaggio ora alto ora basso, raffinato e popolano, aulico, comico, formale e informale e via via fino a reinventarsi e a volte storpiarsi. Leggere Gadda è come assistere ad un’invenzione continua.
Ecco perché il lettore si trova spesso la strada bloccata, il ritmo della lettura si rallenta, e ci si deve riorientare, Gadda è come un navigatore impazzito.
Compone, scompone e ricompone ogni dettaglio, tanto che ingigantendoli, finisce con il cancellare il disegno originale.
Uno scrittore unico nel suo genere, che ha saputo rappresentare il magma ribollente della vita, l’infinita stratificazione della realtà, lo “gnommero” inestricabile della conoscenza.
“Non è per un lettore sbadato tale lettura”, questo ha scritto Italo Svevo dell’Ulisse di Joyce, e visto che Gadda è considerato il Joyce italiano, non credo che Svevo si offenda se uso questa sua frase anche per Carlo Emilio.
“…chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d’esperienze, d’informazioni, di letture, d’immaginazioni? Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili”
Quinta lezione americana, la molteplicità, Italo Calvino
Buona lettura!
Di Cristina Costa
Quarta lezione americana di Calvino La Visibilità – Loro Roberto Cotroneo
Quarta lezione americana di Calvino, la visibilità: Loro Roberto Cotroneo
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