QUANDO HITLER RUBÒ IL CONIGLIO ROSA Judith Kerr

QUANDO HITLER RUBÒ IL CONIGLIO ROSA, di Judith Kerr

Un altro dei volumi passatimi da mio marito sulla Shoa è questo libro annoverato, dal mondo editoriale, tra i romanzi per ragazzi, nonostante l’intenzione di Judith Kerr, l’autrice, non fosse proprio quella, ma la maniera di narrare, delicata e mai sconvolgente, sebbene siano presenti certi passaggi più drammatici sulle persecuzioni ebraiche, non diviene mai greve e fosca. Perciò credo sia stato questo il motivo per cui è stato inserito nella letteratura per ragazzi.

 

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QUANDO HITLER RUBÒ IL CONIGLIO ROSA è l’autobiografia romanzata della scrittrice, che nel libro viene chiamata Anna, ha quasi 10 anni ed è figlia di un noto giornalista e scrittore di sinistra e di una famosa pianista, entrambi ebrei non praticanti.

La famiglia, composta anche da un fratello maggiore di nome Max, vive a Berlino e si vede all’improvviso perseguitata dai rampanti nazionalsocialisti guidati da Hitler, che sperano, nel 1933, di vincere le elezioni per poter allontanare, da ogni ambiente lavorativo importante, soprattutto culturale, tutti gli ebrei. Il padre di Anna è uno di questi.

 

Un bel giorno, perciò, Anna e tutta la famiglia Kerr è costretta a trasferirsi inizialmente nella Svizzera tedesca; a causa però di una taglia pendente sulla testa del papà, ricercato in Germania, e una più allettante offerta di lavoro, la famiglia si trasferirà a Parigi e Anna e suo fratello, nonostante le ristrettezze economiche, si impegneranno per imparare il francese e inserirsi nella società parigina.

Ma proprio quando ormai i due ragazzini padroneggiano finalmente la lingua e frequentano con soddisfazione la scuola, sono costretti a trasferirsi, ancora una volta, in Inghilterra, perché il giornale francese, dove il papà lavora, dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, non può più pagare molto ed essendo, il signor Kerr, una persona molto in vista nel mondo della cultura, per di più tedesco ed ebreo, la redazione non può né vuole mettersi nei guai a causa sua.

Il romanzo termina con l’arrivo della famiglia in Inghilterra, dove, ad attenderla, c’è un cugino della mamma e il passaggio di un simpatico facchino che, sentendo parlare tedesco, chiede ai ragazzi “Ittla?”, alludendo ad Hitler, alla quale domanda, dopo essersi finalmente dipanate le nebbie dell’intendimento di quella strana parola, i due rispondono che Ittla non è una persona buona e ridono dell’imitazione che l’uomo fa del capo nazista.

 

È stato davvero piacevole leggere questo libro, in fondo triste, se pensiamo a quello che narra, ma la scrittura scorre così fluida e candida, proprio come i pensieri di una bambina di 9-10 anni, perfettamente delineati, come se ad esprimerli fosse ancora la stessa Judith decenne, perfino quando si rammarica di aver abbandonato a Berlino il vecchio coniglio rosa (da cui il titolo) a cui ha preferito un pupazzo tutto nuovo.

La tranquillità e l’innocenza dell’infanzia non vengono mai sconvolte dalle atrocità delle persecuzioni razziali e della guerra: Anna resta serena nel guscio protetto dell’affetto familiare, perché, riflette la bambina, anche in luoghi estranei e in mezzo a disavventure e povertà se la famiglia è unita, non ci sarà mai niente da temere

Recensione di Lena Merlina

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1 Commento

  1. Bellissima recensione, delicata e toccante come il libro stesso.
    E’ la prima lettura di me bambina di cui ho memoria, più di trent’anni fa, e ci ho tenuto che mia figlia ne avesse una copia perché, come avete ben argomentato, affronta un tema epocale e sempre attuale con una prosa che è difficile ritrovare in altri scritti dedicati all’argomento.

Commenti

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