PREMIO CAMPIELLO 1988: LE STRADE DI POLVERE, di Rosetta Loy (Einaudi)
Sopra la collina, osservando la Battaglia di Marengo il Giai a trent’anni muore lasciando sola la Maria che dopo poco sposerà suo fratello Pidren tornato miracolosamente dalla campagna di Russia.
Con il ventre in stato di perenne gravidanza ella subisce la morte della figlia di un anno e mezzo ingrossando il triste numero dei piccoli deposti nel vecchio cimitero del paese. Personaggi minori, ma non per questo di minor spessore all’interno della vicenda, assisteranno con l’accettazione rassegnata di chi è uso alla sofferenza per la perdita delle persone amate, alle vicissitudini di Maria, della Matelda detta Fantina, della Luison e del Pidren all’interno di un lento e rassegnato scorrere di attimi uguali agli attimi, fra bestie da curare, carrette da spingere, tele da ricamare e ricordi di un tempo immaginato migliore.
Come moderne Lucie e Agnesi di manzoniana memoria le donne di questo pregevole romanzo si raccolgono intorno al focolare dei semplici e puri di cuore non senza qualche sempiterna passione d’amore o calamità naturale.
La dimensione ultraterrena viene vista con gli occhi chi osserva per la prima volta un dipinto religioso del trecento senza sovrastruttura alcuna e mi piace citare un bel paragrafo:
“Perché l’Arcangelo Gabriele abbia del sangue sui calcagni nessuno lo sa spiegare, neanche il Prevosto a cui vengono i sudori freddi a guardare la pianeta (tela da ricamo) che un giorno dovrà indossare. Il sangue è lì, perché io l’ho visto. Dove, quando non ricorda, ma l’ha visto. Forse è per i pruni e per i rovi che l’Arcangelo ha incontrato sulla terra quando è venuto a portare l’annuncio alla Vergine Maria; e i suoi occhi sfuggono quelli del Prevosto, si immergono pallidi sotto le palpebre.”
Osservo che il Grande Lisander ha fatto breccia o meglio influenzato anche Rosetta Loy e cito:
-” Sta cittu! Il Prevosto le dà improvvisamente del tu come se fossero già compagni dell’inferno, – sta cittu’. Non vuole sentire le cose terribili che Maria va dicendo, ancora potrebbe ascoltarle dietro la grata del confessionale….La Signora Bocca è una santa donna, dice, ha regalato alla Parrocchia i più bei paramenti del circondario….un Prevosto di campagna è solo un povero disgraziato come gli altri…”
Ecco: su questo argomento trovo che il Premio Campiello abbia forse peccato di scarsa fantasia. Troppo simile a Don Abbondio la figura del suo Prevosto. Naturalmente questo è il mio parere. Mi convince, casomai ne avessi ulteriore bisogno, che nulla è più urticante dell’ l’ipocrisia di chi confessa un credo a parole e non con i fatti.
L’umiltà e la fede in Dio convincono Maria che ciò che le succede di gramo sia meritato perché “potrebbe essere che abbia fatto qualcosa di male , lei o il marito. Un indottrinato senso di colpa la rende inerme, non capisce , ” qualcosa le sfugge ..
La narrazione procede lenta ma inesorabile verso destini orizzontali semplicemente accettati come in un campo nel quale l’erba della malasorte convive con quella di destini gloriosi come quello del Bonaparte.
Recensione di Ivana Merlo
PREMIO CAMPIELLO 1968: L’AVVENTURA DI UN POVERO CRISTIANO Ignazio Silone
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