
Premio Bancarella 1982 L’AZTECO, di Gary Jennings (Rizzoli)

Un’opera che vive in equilibrio tra rigore storico e invenzione narrativa. Ambientato nell’ultimo secolo dell’Impero azteco, racconta con straordinaria intensità il tramonto di una civiltà, restituendo un mondo che pulsa di vita, di contraddizioni e di bellezza crudele. Al centro di tutto c’è lui, Mixtli — “Nuvola Nera” — il protagonista e voce narrante, figura magistrale che incarna, insieme, un destino personale e collettivo.
Jennings ha scritto L’Azteco dopo anni di ricerca meticolosa, consultando fonti primarie, cronache spagnole e testi antropologici. Eppure, ciò che rende il romanzo memorabile è la sua capacità di andare oltre la semplice ricostruzione. La storia, per Jennings, non è un terreno da riprodurre freddamente: è una materia viva, che lo scrittore plasma con immaginazione, sensibilità e una narrazione che ha l’ambizione — riuscita — di avvicinarsi all’epica.
Il personaggio di Mixtli incarna perfettamente questa fusione tra storia e finzione. Nato da un contesto storicamente plausibile, ma creato dalla penna dell’autore, Mixtli si muove tra eventi documentati — come la guerra contro Tlaxcala, le riforme dell’imperatore Montezuma, la conquista spagnola — e momenti inventati con piena libertà creativa. Jennings usa Mixtli per raccontare il “non detto” della storia: l’ironia, la crudeltà quotidiana, le emozioni, i dubbi, le voci dimenticate. Attraverso di lui, la grande Storia diventa esperienza umana, corpo e parola.
La finzione qui non serve a deformare il reale, ma a completarlo. L’autore riempie i vuoti lasciati dalle cronache ufficiali, dà volto e voce ai popoli sottomessi, ai sacerdoti, alle donne, ai guerrieri, ai servi, agli eretici. L’Azteco ci mostra che la verità storica non è fatta solo di date e battaglie, ma anche di emozioni, visioni, sogni. Jennings non mente, ma interpreta. E nel farlo, ci consegna un ritratto dell’Impero azteco più umano e, paradossalmente, più credibile di molte narrazioni accademiche.
Mixtli è, in questo senso, una figura ponte: tra passato e presente, tra realtà e immaginazione. È al tempo stesso testimone e attore, cronista e poeta, carnefice e vittima. La sua autobiografia — dettata agli scribi spagnoli — diventa l’ultima forma di resistenza: quella della narrazione. In lui si riflette la grande intuizione di Jennings: che raccontare una civiltà perduta significa anche, e soprattutto, restituirle la parola.
L’Azteco non è solo un romanzo storico: è un’opera viva, in cui la finzione letteraria diventa mezzo per una verità più profonda. E Mixtli, con la sua voce limpida e ambigua, ne è il cuore pulsante — l’uomo che visse mille vite per potercela raccontare.
Recensione di Karin Zaghi
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