NON BASTA VINCERE UN PREMIO PER ESSERE APPREZZATI: LA RAGAZZA CON LA LEICA Helena Janeczek

NON BASTA VINCERE UN PREMIO PER ESSERE APPREZZATI: LA RAGAZZA CON LA LEICA, di Helena Janeczek

Il riconoscimento, la prevalenza in un concorso letterario, sia pur espressi e sanciti da esperti e notevoli critici, non sempre riescono a cogliere nel segno. Certo, ognuno ha le sue idee, le sue sensibilità, i suoi gusti. Ma, se ci sono libri ed autori che alla fine riescono ad essere valutati ed apprezzati positivamente da una grande platea di lettori, ci sono anche libri ed autori che non suscitano e non raccolgono gli stessi consensi e, passata la notorietà derivante dal battage pubblicitario, che sfrutta il premio vinto, vengono presto dimenticati, non lasceranno traccia di sé, né avranno segnato un momento particolare nella storia della letteratura.

 

La ragazza con la leica
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È il caso, secondo me, di questo libro, Premio Strega 2018, che mi ha fatto considerare essere molto modesti gli altri concorrenti in concorso per essere esso giudicato il primo. Risente molto, troppo, di più datati libri e di autori ormai nel Pantheon della letteratura.

È il racconto della giovane, breve vita di una ragazza, fotografa, Gerda Taro, raccontata sullo sfondo della Guerra di Spagna, dei nascenti totalitarismi in Europa del secolo scorso, della seconda Guerra Mondiale, delle persecuzioni degli Ebrei, del dopoguerra e conseguente divisione del mondo nei blocchi capitalista e comunista, col contorno di riferimenti (compiaciuti per dar tono al libro ed alla storia della protagonista?) a P.Neruda, A.Einstein, E. Emingway ed altri.

 

 

Storia raccontata attraverso personaggi che l’hanno conosciuta e vissuto con lei, alcuni le sono stati compagni di vita come R.Capa, poi Wlly e George, altri amici come Csiki Weisz, Fred Stein e Filo, collante e sottofondo a tutti e a tutto: lei, Gerda Taro, morta a ventisette anni nel ribaltamento di un mezzo durante Guerra di Spagna.

Oltre alla tematica non originale, in cui è inserita la vita di Gerda, ciò che non affascina sono le pose esistenzialistiche e i comportamenti, troppo “vicini” a quelli di Keruac e di altri autori statunitensi degli anni ’60, dei vari personaggi del libro, come, già frequentate, sono le tematiche dei superstiti di guerra, il sentirsi colpevoli per esserne sopravvissuti, la vita(a volte miserrima, a volte dorata) degli esuli a Parigi e la figura di Gerda, presentata come eroina “suo malgrado”.

 

 

Ma, soprattutto, il libro non procura piacere di lettura per una prosa arida, singhiozzante e spezzettata da periodi farciti con incidentali e subordinate che ambirebbero a denotare profondità di idee e di pensiero ed invece interrompono molestamente il filo della narrazione; anche i tanti flash-back, che sono la cifra caratterizzante lo stile del libro, risultano fastidiosi e lo rendono artificioso ed artefatto.

 

 

Se in altro contesto sarebbero stati peccati veniali, nemmeno notati e sottaciuti, i refusi tipografici a metà rigo di pag. 93, in cui manca una “a” preposizione e che a fine rigo di pag.101 l’articolo plurale francese dovrebbe essere “les”, qui rendono ancora più fastidiosa, noiosa e poco piacevole la lettura. Concludendo, onestà mi impone di notare positivamente che il libro può essere un interessante breviario per foto-amatori ed esperti di fotografia e che, filologicamente coerente con il tema fotografico, il racconto spesso si svolge ed è immerso in una tonalità di color seppia o in bianco e nero.

Recensione di Antonio Rondinelli

 

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1 Commento

  1. concordo sulla mediocrità del testo, e a mio avviso anche noiosità. Ma essendo un amante dell’arte fotografica posso, dal mio punto di vista, smentire che possa essere un “breviario fotografico”… Tolte le ultime 50 pagine, l’ho letto solo per dovere di conoscenza fotografica.

Commenti

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