NEULAND, di Eshkol Nevo
Quando leggo Nevo non mi sembra di leggere, ma di ascoltare voci che sussurrano.
La distanza tra libro e lettore è annullata, e ogni volta è una dolce e straordinaria immersione in mondi e anime che mi sembra di conoscere da sempre e da cui è difficile prendere congedo.
La lettura di questo romanzo è per me un’ulteriore conferma, anzi, una più forte conquista, poiché è dotato di maggiore ambizione rispetto a quelli finora letti e attraversa una molteplicità di temi preziosi senza perdere di vista il filo conduttore, e cioè il Viaggio. Tutti i protagonisti del romanzo, le cui vite, prima o poi, si intersecano tra di loro, compiono un viaggio importante di ricerca, scoperta e nuova conoscenza di sé, se è vero, come sostiene Proust, che il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.
C’è il viaggio di Dori, giovane israeliano che, sfuggendo a una vita familiare inquieta, si reca in Sudamerica per trovare il padre, eroe della guerra del Kippur, scomparso dopo la morte dell’amata moglie; c’è la giovane Inbar, anche lei israeliana, che a stento sopravvive alla morte suicida del giovane fratello militare e al rapporto conflittuale con la madre ormai trasferitasi in Germania, meta del suo viaggio, al ritorno dal quale casualmente si troverà fuori dalla rotta prevista; a ritroso viene ripercorsa la storia di Lili, amata nonna di Inbar, e del viaggio compiuto dalla Polonia alla Palestina prima della seconda guerra mondiale, viaggio pieno di sogni e speranze poi disilluse; ci sono tutte le figure familiari ruotanti attorno a Dori e Inbar, destinati a incontrarsi e sostenersi nella reciproca e faticosa conquista verso il desiderio e la realizzazione della propria autenticità; c’è Neuland, la comunità fondata dal padre di Dori in Argentina, una sorta di stato ombra che ricordi a Israele ciò che avrebbe dovuto o potrebbe ancora essere, per non far perdere agli ebrei la speranza millenaria di divenire un popolo libero.
C’è tanta storia, tanta malinconia e infinita speranza, la millenaria fiducia dell’uomo, e dell’uomo israeliano in particolare, il rapporto conflittuale con la propria terra: “E il nostro paese, eh? Ebrei su ebrei che vivono nello stesso posto, ma in testa hanno l’altro posto dal quale sono arrivati e l’altro posto in cui vorrebbero scappare domani. E per fortuna che hanno questo in testa, perché solo così, grazie ai pensieri e alle fantasie di andare errando, si può rinunciare a errare davvero. E restare”.
E in mezzo alla grande Storia innumerevoli sfumature di sentimenti, l’amore filiale, la tenerezza dei nonni, il rimpianto per l’occasione mancata di una vita, il dolore insanabile di un’assenza, la grazia di un nuovo e consapevole amore, la “nostalpazzia” un neologismo coniato dalla sorella di Dori per definire il sentimento struggente che può cogliere, in certi momenti, i membri di una famiglia.
Il tutto narrato alternando sapientemente il registro asciutto, diretto e colloquiale, al flusso di coscienza, alla narrazione distesa e descrittiva, esaustiva nel rendere svariati paesaggi e infiniti stati d’animo.
Alla fine, come in tutti i romanzi di Nevo, resta sempre una sensazione sfumata, quasi impercettibile ma pervicace di anelito alla speranza, pur nel dubbio, nella paura, nell’accettazione sofferta del cambiamento :”L’acqua nel fiume è pura e limpida. Un’aria buona sale dalla Valle Sacra. Tutto è perdonato adesso. So che è momentaneo, che non si finisce di fare i conti con se stessi finché non si muore – Ma alla vista del fiume tranquillo, sente questo. Che la solitudine non è più una paura. E che tutto, davvero tutto, è perdonato”.
Recensione di Magda Lo Iacono
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