L’UCCELLO DIPINTO Jerzy Kosinski

L’UCCELLO DIPINTO, di Jerzy Kosinski (Minimum Fax)

Dopo le primissime pagine de “L’uccello dipinto”, ho subito sentito dei richiami, delle assonanze con un altro romanzo, forse quello che più di tutti ha segnato la mia esperienza di lettrice, ovvero “Trilogia della città di K” della Kristof.

L'UCCELLO DIPINTO Jerzy Kosinski

Ora come allora, mi sono sentita sopraffatta dalla quantità di violenza e atrocità descritte, dalla brutalità che nasce dall’angoscia e dalla disperazione.
Ora come allora, la consapevolezza di quanto la guerra distrugga anche l’ultimo barlume di umanità, mi ha lasciata senza fiato, senza parole, senza.

Seconda guerra mondiale.
Europa dell’est.
Un bambino.

Seguiamo le vicissitudini di un bambino ebreo di 6 anni, senza nome, i cui genitori, allo scoppiar della guerra, affidano alle cure di una contadina, in un remoto e innominato villaggio della regione, per salvarlo dall’invasione nazista.

 

La donna, anaffettiva, sporca e superstiziosa, ben presto morirà, e per lui avrà inizio la sua personale lotta per la sopravvivenza, un continuo peregrinare attraverso villaggi abitati da fattori e contadini che non lo vogliono, che lo guardano con sospetto per i suoi colori scuri, considerandolo uno sporco zingaro portatore di disgrazie e malefici.

Proprio come l’uccello dipinto dall’uomo, simbolo della diversità, di chi viene perseguitato dai suoi simili per i suoi colori, pur appartenendo alla stessa specie.

Dovrà scontrarsi contro l’ignoranza, la superstizione, la povertà, la perversione, la malattia, la brutalità più estrema…fino a quando, violenza dopo violenza, non smarrirà completamente anche il suo personale senso di pietà umana.
Spesso si diventa cattivi non per scelta, ma per necessità, per sopravvivenza.
Il dolore, superato un certo limite, ci cambia per sempre.

 

Kosinski ha voluto contrapporre l’uomo, nel suo stato più puro e vulnerabile, ovvero quello dell’essere ancora bambino, con la società nella sua forma più letale e degradante, la guerra.
Ne viene fuori un’immagine perfetta della condizione anti-umana.

“L’uccello dipinto”, fin dalla sua pubblicazione, è stato oggetto di critiche feroci e bandito totalmente nei paesi dell’Europa orientale, dove venne considerato calunnioso nei confronti delle tradizioni locali e del modo di vivere dei contadini di quelle regioni.

I cittadini di quella che era stata la patria di Kosinski, la Polonia, lo hanno accusato di tradimento, ignari di essere vittime di quelle stesse forze da cui il protagonista del libro si è salvato (pagando un prezzo altissimo in termini di umanità).

Kosinski ci racconta una favola nera, feroce, ai limiti dell’insopportabile, in cui rielabora i fantasmi e le paure della propria infanzia, e dove, con un tono lucido e distaccato, ci aggredisce e ci lascia inermi, incapaci di metabolizzare così tanta crudeltà, ma allo stesso tempo, incapaci di smettere di leggere.
Bellissimo, ma solo per stomaci forti.

Recensione di Antonella Russi

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