LO STAGNO DEL DIAVOLO George Sand

Lo stagno del diavolo G. Sand

LO STAGNO DEL DIAVOLO, di George Sand


Esistono altre versioni, altre case editrici, altri traduttori. Alle volte invece dello stagno c’è la palude. Anche il titolo cambia. In italiano. In francese, per chi ha la fortuna di conoscere questa lingua, il titolo non cambia: “La mare au diable” suona ancor meglio al nostro orecchio contemporaneo e riporta a galla sapori antichi, nostalgia per l’infanzia e ricordi di giochi campestri nelle campagne delle vacanze estive. Il termine ‘mare’ ha richiami anche marini e significa una distesa di acqua fissa – dormiente – che richiama il dolce dormire, il mondo onirico che leghiamo immancabilmente al passato, oltre la nostra infanzia, ancor prima, in un tempo remoto e bucolico, dove la natura è ancora incontaminata, bella e rigenerante.

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Sono sincera, se ho ripreso in mano questo romanzo di George Sand, piuttosto che un altro – e vi assicuro che ne ha scritti tantissimi – è proprio per il fascino del titolo. L’autrice stessa scrive una prefazione a questo breve romanzo definito campestre, appartenente al ciclo che l’autrice dedica ai personaggi e ai paesaggi della campagna che la circonda nella sua leggendaria casa di Nohant, nel centro della Francia, nella regione del Berry. Proprietà di famiglia, la dimora di Nohant diventerà negli anni un cenacolo letterario e culturale, ma anche artistico, un vero e proprio centro per le arti ante litteram, dove si faceva teatro, musica, si discuteva di letteratura e politica, dove si cucinava e si passava tanto tempo a tavola a degustare le meraviglie della campagna e della cucina francese.

 

 

Ma per la scrittrice francese, anticonformista e iconoclasta, Amantine Aurore Lucile Dupin, in arte George Sand, uno dei massimi esponenti del romanticismo francese, questo luogo, dove visse con la nonna e un precettore che le insegnò la libertà incominciando con l’indossare vestiti maschili, molto più facili e comodi da portare, diventa il territorio, lo spazio vitale dove convogliare tutte le sue passioni e i suoi affetti, anche oltre l’infanzia, nella vita matura, dove le parole fluiscono nel quotidiano e si fissano per l’eternità sulla pagina bianca, che attira sempre con la stessa voracità la creatività di Aurore Dupin diventata ormai anche per gli amici George Sand. La scelta dello pseudonimo non solo consente a Aurore di far subito carriera, ma diventa un vero modo per esprimere la propria identità che mal si celava sotto i vestiti pesanti e ingombranti femminili dell’epoca.

 

 

Ma torniamo a “La mare au diable”. Come spiega nella prefazione l’autrice, questo breve romanzo nasce dal suo desiderio di immortalare un mondo rurale che sta scomparendo. La minaccia di un mondo industriale e urbanizzato incombe e non lascia speranza per il futuro. Questo sguardo di una scrittrice dell’’800 fa rabbrividire oggigiorno, in un mondo alle prese con le azioni disperate di Greta Thunberg e di chi come lei teme non ci sia davvero più un futuro per il nostro pianeta. Inoltre, spiega sempre nella prefazione George Sand, l’idea del romanzo nasce da una reazione all’incisione di Hans Holbein che raffigura un contadino alle prese con l’aratura di una terra ingrata che gli offre solo sofferenza e stenti con la morte in agguato.

Ecco, a quest’immagine George Sand vuole contrapporre un’immagine idilliaca del contadino; un’immagine di gioia, felicità e godimento; di vita semplice a stretto contatto della natura. La vita dei contadini è pura poesia. Loro non hanno gli strumenti per decantarla. George Sand sì. Così ‘presta’ la sua penna ai suoi personaggi e li immortala in uno dei romanzi più famosi della letteratura francese. «l’arte non è uno studio della realtà positiva; è una ricerca della verità ideale»; è con questo ideale romantico che George Sand si appresta a raccontarci una storia semplice e vera che altrimenti morirebbe con il passar del tempo che tutto inghiotte, uomini paesaggi e bellezza naturale.

 

 

La trama è molto semplice: Germain, un giovane vedovo con tre figli piccoli viene incoraggiato dal suocero a trovare moglie. Conosce Marie, un’affascinante sedicenne e con lei e il più piccolo dei suoi figli intraprende un viaggio verso il villaggio dove entrambi hanno interessi da curare. Ma lì si scontreranno, ognuno per conto proprio, con la pochezza di personaggi invischiati nel sociale che distrugge l’umanità e i veri sentimenti. Vivranno invece un momento magico quando si perderanno nei pressi di una palude, chiamata lo stagno del diavolo perché nell’immaginario campagnolo è creduto un luogo stregato. Poco dopo Germain le chiederà di sposarlo, ma lei rifiuterà perché è troppo giovane. Passa un po’ di tempo e Germain ci riprova. Questa volta Marie accetta. La storia finisce così. Bene. Nel vocabolario hollywoodiano è una feel-good story, dove i buoni sono buoni e i cattivi sono cattivi e ignoranti, non sanno nemmeno distinguere un pomodoro da una mela.

Il messaggio ci propone un ideale romantico sociale; l’autrice è ben consapevole che i suoi personaggi e paesaggi non corrispondono proprio alla realtà, ma non importa. Per George Sand, quello che conta è la capacità del lettore di accorgersi della semplicità delle cose buone e genuine: «guardate dunque la semplicità, voi altri, guardate il cielo e i campi, e gli alberi, e i contadini, soprattutto in quello che hanno di buono e di vero: li vedrete un po’ nel mio libro, ma li vedrete molto meglio in natura.»

 

 

Un messaggio romantico, che non possiamo non cogliere, noi uomini del terzo millennio, dove di romantico è rimasto ben poco nella natura e negli uomini e dove questo libro rimane una perla di bellezza e di richiamo alle cose semplici, le uniche capaci di salvarci dalle tenebre della morte, che non è la morte vera ma la fine triste che stiamo facendo fare al nostro pianeta. Svegliamoci finché siamo in tempo. E svegliarsi significa, appunto andare a rispolverare usi e tradizioni antiche.

Ecco perché in appendice, la scrittrice ci descrive in dettaglio il matrimonio dei nostri eroi, con tutti i dettagli del caso. Una vera chicca. Un affresco delicato e prezioso. Un vero “bazvalan”, antico termine brettone, riportato da George Sand per definire un messaggio amoroso nelle cerimonie contadine folcloristiche.

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