LIZZIE Shirley Jackson

Chi scrive lettere minacciose all’inoffensiva, scialba, apatica Elizabeth, facendogliele trovare sulla scrivania nel museo dove lavora?

“cara lizzie, diceva la lettera, adesso il tuo scemo paradiso degli allocchi è finito per sempre occhio che arrivo e non fare niente di brutto perché se ti acchiappo te la faccio vedere io e non pensare che non so quello che fai lizzie perché io vedo tutto – sporchi pensieri lizzie sporca lizzie”.

E perché Elizabeth, invece di adirarsi o spaventarsi, conserva con cura queste lettere nella sua stanza, nascondendole alla zia Morgen con cui vive da quando è rimasta orfana? Cosa sono questi continui mal di testa, vuoti di memoria, sbalzi d’umore che affliggono Elizabeth e che preoccupano la zia tanto da spingerla a consultare uno “strizzacervelli”? Il dottor Wright, tramite l’ipnosi, scoprirà che in Elizabeth convivono diverse personalità, in guerra tra loro per prendere il sopravvento; quando Elizabeth si addormenta appaiono la candida Beth o la scaltra Betsy o l’arrogante Bess. E sono guai! Scoperchiato il vaso di Pandora non si potrà più tornare indietro.

Quando un libro riesce contemporaneamente a divertire e a turbare merita attenzione. La storia del dottor Wright che cerca di salvare Elizabeth da se stessa, e la zia da Elizabeth, è raccontata dai diversi personaggi e assume toni diversi a seconda di chi racconta. In molti passaggi è un vero spasso, a volte è tragica e inquietante, spesso disturbante, soprattutto quando lascia intravvedere verità sepolte senza svelarle mai del tutto.

Non è di sicuro una rappresentazione scientifica del disturbo delle personalità multiple eppure rende perfettamente, con ironia e leggerezza (ma anche spingendo sulla frammentarietà di alcune parti) l’angoscia di una tale situazione. Il finale mi è parso non proprio a livello del resto del libro che resta comunque un’ ottima lettura, veramente molto originale. E pensare che questo libro mi aveva incuriosito solo perché la protagonista fa il mio stesso lavoro!

Recensione di Elena Gerla