LIBERAZIONE Imogen Kealey

LIBERAZIONE, di Imogen Kealey (Longanesi)

Nancy Wake: l’unica donna che avrebbe potuto far impallidire James Bond… con un tacco rotto.

“Liberazione” di Imogen Kealey è uno di quei romanzi che inizi con la curiosità di leggere una storia di spionaggio al femminile e finisci con la bocca aperta, gli occhi spalancati e la frase “ma com’è possibile che non ne avessi mai sentito parlare prima?” ben piantata nella testa. Nancy Wake, signore e signori, è un personaggio talmente incredibile che se non fosse realmente esistita, qualcuno l’avrebbe dovuta inventare. E poi si sarebbe detto: “Ma dai, troppo esagerata, non è credibile.”

Il romanzo corre veloce come una fuga in bicicletta tra le montagne francesi (cosa che Nancy faceva davvero, tra l’altro, mentre noi ci lamentiamo per due rampe di scale), e la protagonista buca la pagina come un proiettile. È intelligente, spericolata, sensuale e ironica – insomma, il genere di persona che non solo ti salva la vita, ma poi ti fa anche sentire in colpa per aver avuto paura.

Ora, è pur vero che in mezzo a questo turbine di coraggio e audacia, alcuni personaggi sembrano usciti da un catalogo di figurine: il cattivo cattivissimo, il comandante ombroso e tormentato, l’amico fedele versione “ti copro le spalle e ti faccio il caffè”. Alcuni stereotipi, in effetti, risultano troppo evidenti e stonano un po’ rispetto alla forza e alla credibilità della figura centrale.

Ma tutto sommato, chissenefrega. Perché Nancy è lì, viva e pulsante, anche se in versione romanzata. E ti costringe a googlarla, a voler sapere di più, a renderti conto che sì, era proprio così: un mix letale di fascino, incoscienza e ferma determinazione. Una che non si fermava davanti a nulla, nemmeno davanti a un manipolo di nazisti armati fino ai denti.

In sintesi? “Liberazione” mi è piaciuto. Ha i suoi difetti, certo, ma la protagonista li fa sembrare insignificanti. È come una cena buonissima con qualche piatto troppo condito: magari ti lamenti, ma intanto finisci tutto e chiedi pure il bis.

Recensione di Vincenzo Anelli

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