L’ESTATE DI WATTS Robert Conot

Lestate di Watts Robert Conot Recensioni Libri e News UnLibro

L’ESTATE DI WATTS Robert Conot

“Cosa sono questi tumulti?
Sire, non sono tumulti, questa è la rivoluzione”.
Era il 15 luglio 1789 e più o meno questo il dialogo svoltosi a Versailles tra Luigi XVI ed il duca di Liancourt, un secondo prima che lo slogan uguaglianza, fraternità e legatita’ eccheggiasse più chiaro di senso ai timpani del re perché si facesse un’idea più realistica della situazione.

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Facciamo un balzo diacronico ed eccoci a Watts Usa, dove per una banale multa ma complice un sospetto che puzza di discriminazione grande come una casa, prende corpo una sanguinosa lunga rivolta la prima grande nera nei sobborghi di Los Angeles, una estate bollente per sei giorni dal 11 agosto del 1965.

Nella sommossa si contano 34 morti, 1.032 feriti e 3.952 arresti (il lettore inspired che si voglia visivamente fare un idea di qualcosa di emotivamente omologo, si guardi il film Detroit, della brava Katryn Bigalow, 2017)
Ma l’interessante di questo libro, pubblicato nel lontano 1970, è soprattutto che fa capire perché il cosa e come succede. E rileggere di quei fatti oggi, come un romanzo, non è male per lettore o lettrice che si sia, anche perché ce ne si sente catturati dalla prima all’ultima pagina.

E nel frattempo che si legge, si può ragionarci su e fare paragoni oscillando sulla lama sempre affilata della incomprensibilita’ del presente. E cosi pur essendo estate, si legge con interesse anche se insospettabilmente non ci si distrae.

Esercizio utile, giacché la mamma proverbiale degli idioti è sempre incinta e la storia lo sa (anzi, da studi attendibili, recenti, sembra che conti sempre piu su di essa).

E cosi il filo che lega tra di loro le due vicende rivoluzionarie (o rivoltose) citate, si fa per chi legge più chiaro: l’uguaglianza (che non basta se non si traduce in equità), la fraternità, la legalità. Ma ciascun lettore-trice si faccia idee e paragoni da sé, i più proficui che creda.

In fondo questo libro è un classico perché come tale continua a suggerire qualcosa di nuovo a chi legge a 50 anni di distanza.

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