LE STANZE DELLO SCIROCCO Cristina Cassar Scalia

LE STANZE DELLO SCIROCCO, di Cristina Cassar Scalia

“La Sicilia è màvara. Quando uno se ne va, lei gli fa la fattura: che se non torna muore di nostalgia”.

E la storia qui narrata parte proprio da un nóstos, un viaggio di ritorno intrapreso dal notaio Sgalimberti insieme alla moglie e alla figlia Vichy, in virtù dell’impossibilità di resistere a quel richiamo.

Non mi soffermo sulla trama, che ritengo secondaria rispetto alla capacità che ha l’autrice di restituirci l’anima chiaroscurale della Sicilia in un periodo di grande cambiamento come quello del ’68.

Oltre che narrarci di due storie d’amore, che scorrono separatamente per poi convergere insieme, questo romanzo riesce a rendere per varie vie l’aspetto sensuale, decadente e malinconico ma anche ambiguo e contraddittorio che in quegli anni, e per certi versi ancora oggi, ha caratterizzato l’isola.

Ecco allora Palermo, città dai mille volti, che alla superba bellezza del centro contrappone il degrado delle periferie, che in un mercato popolare concentra la vitalità di mille colori, voci e sapori, che allo sfarzo architettonico di tempi migliori sostituisce lo scempio edilizio delle nuove imprese da profitto; ma ecco anche Montuoro, paesino immaginario dell’entroterra a cui i nostri ritornano, in cui si concentrano tutte le idiosincrasie di una società ancora tradizionalista, clericale, maschilista, in cui all’uomo è concesso un po’ tutto mentre la donna deve rigare dritto e secondo le buone regole impartite nei salotti signorili e condivise nelle sale da barba, dove il chiacchiericcio fa presto a divenire giudizio perché lì, nei palazzi, nelle piazze e dentro le chiese l’apparenza è una vera e propria filosofia di vita.

Ma la storia è ricca anche di risvolti che rimandano a vicende importanti di quegli anni, come la legge Basaglia, il sacco di Palermo, la scuola innovativa di don Milani. Vi si respira il fermento della rivoluzione ma anche il profumo di ciò che è isolano e sempre lo sarà, la zagara della campagna pigra e sonnacchiosa, le tradizioni come quelle dei morti, in cui anche per i piccoli si assottiglia il confine tra chi è vivo e chi non lo è più, il senso di quella famiglia che, come diceva Sciascia, è lo Stato del siciliano, e che qui si esprime tramite gesti e sguardi che non hanno bisogno di parole. Sparsi nella narrazione ho ritrovato anche alcuni tratti ereditati dai nostri grandi scrittori, dai Don Giovanni di Brancati alle maschere di Pirandello all’aria salottiera del Gattopardo.

E su tutto si impone la presenza misteriosa di un luogo suggestivo, per l’appunto la stanza dello scirocco, ipogeo dove un tempo si trovava tregua dall’arsura estiva e qui punto di snodo in cui la freschezza di certi nuovi arrivi riuscirà a sciogliere il fervore di pregiudizi e incomprensioni.

Questo romanzo mi ha offerto l’occasione di scoprire una brava scrittrice e di immergermi a pieno nelle mille sfaccettature della mia amata isola. Lo consiglio a chi la Sicilia voglia scoprirla o ritrovarla o a chi abbia semplicemente voglia di sognare una bella storia.

“Sai cos’è la nostra vita, la tua e la mia? Un sogno fatto in Sicilia. Forse siamo ancora lì, e stiamo sognando”.

(Sciascia, da “Candido. Un sogno fatto in Sicilia”.)

Recensione di Magda Lo Iacono
LE STANZE DELLO SCIROCCO Cristina Cassar Scalia
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