L’ARPA D’ERBA Truman Capote

L’ARPA D’ERBA, di Truman Capote (Garzanti)

 

Siamo negli anni ’40, nel Sud degli Stati Uniti; Collin, a undici anni, rimasto orfano di madre e, dopo poco, anche di padre entra nella casa delle sorelle Verena e Dolly Talbo, cugine paterne, e vi rimarrà fino a quando inizierà studi universitari.

Vi passa anni importanti per la sua crescita e formazione emotiva ed affettiva. In particolare però nel libro la narrazione è focalizzata su un episodio: in seguito ad un disaccordo fra le due sorelle, Dolly insieme alla fedele Catherine allo stesso Collin si ritira a vivere in una casetta su un albero al limitare del bosco. Il fatto susciterà reazioni contrastanti e metterà in evidenza gli atteggiamenti sociali e culturali della comunità.

Una delle prime domande che mi sono posta leggendo questo libro è stata : chi è il protagonista?

A prima vista , Collin ! Del resto è l’unico “presente” dall’inizio alla fine; di lui abbiamo uno spaccato di vita dalla preadolescenza alla vita adulta; a bambini o giovanissimi o eterni bambini Capote presta la sua attenzione anche in altri scritti.

Appare evidente quasi subito però che qui è soprattutto il punto di vista, oltre che voce, del racconto, salvo implicazioni autobiografiche, di colui che torna agli anni ed ai luoghi dell’infanzia e adolescenza.

Emergono allora le due sorelle, Verena e soprattutto Dolly: “Dollycara”, come direbbe Catherine, “troppo civile per accorgersi dei venti malvagi che spirano altrove” è, a parer mio, un personaggio molto interessante, colei che impara a guardare al futuro, pur senza dimenticare il passato. E la stessa Verena non rimarrà sempre bloccata dal suo ruolo di arrogante; dunque presenta un’ evoluzione.

E poi ci sono il giudice Cool ( bellissimo personaggio) Riley, Sorella Ida, il fornaio, il barbiere, Maude… insomma una serie di personaggi, minori certo, ma ognuno con la sua storia, ciascuno caratterizzato con precise pennellate e vivaci paragoni, a formare una intera comunità: ecco, un “personaggio corale” ( se così posso dire).

Capote rappresenta la realtà attraverso scampoli di vita vissuta, nei suoi personaggi maggiori e minori, vivi e morti, quasi una Spoon River, in cui chi ha vissuto lascia il posto ai più giovani: per questo nell’ultima parte la storia continua con loro, a conferma che l’ Arpa di voci continua a raccontare la storia di tutti.

A dirla tutta, mi sono chiesta anche se non abbia un posto di primo piano perfino l’albero di sicomoro ( quello della casetta); ma sì, che ce l’ha! Inizialmente è il simbolo di una ingenua, quasi giocosa ribellione. Spontaneo viene il paragone con Cosimo Piovasco, il barone rampante che vedrà il mondo da un’altra posizione; innegabile è poi il confronto con Pierre Anthon (Niente di J. Teller), terribile rappresentante di un’innocenza perduta.

Ma qui è diverso: l’albero è rifugio e soprattutto “luogo” di libertà nella scoperta di se stessi; quasi un’Arca di Noè, attraverso la quale si salva la parte di umanità di chi vi è salito. Diviene perfino culla/grembo per “un seme asciutto” quale rimane la casetta nella notte di pioggia.

Coloro che vi erano saliti avranno una trasformazione: Dolly smetterà di stare a testa china, Verena ammetterà il proprio bisogno della sorella, Collin imparerà che l’amore è una catena d’amore, il giudice troverà l’unica persona al mondo alla quale dire tutto, Riley imparerà a guardare agli altri in modo positivo.

Come ho già accennato, questo è un album di ritratti di tutta una comunità, e, particolare non trascurabile, una comunità del Sud, senza che si tacciano pregi e difetti. Troviamo dunque atti di generosità, di gentilezza e solidarietà, di umana saggezza, per contro anche di razzismo e non integrazione , di pregiudizio e avidità.

In più occasioni si percepisce che questa comunità si muove in un relativamente piccolo ambiente, non proprio una città; acquistano così valore gli “spazi” caratteristici: strade e botteghe( il forno, il caffè, il barbiere…), persino la prigione e il cimitero e non ultimo il bosco.

Altrettanto interessanti appaiono gli spazi privati, della casa: la soffitta, la cucina, le camere, come luoghi che in qualche modo rappresentano i personaggi, il loro essere, la loro memoria.

È un romanzo breve, ma esprime tanto e con una leggerezza di toni incantevole, modulando vari registri e toni. Si va dall’autobiografico, nel rappresentare così efficacemente la psicologia, prima di un adolescente, in quel suo sentirsi inadeguato, quel voler essere alla pari, nella ricerca di un modello, nel suo ( e non solo suo) desiderare ” un posto per noi”; poi, divenuto adulto, nella nostalgia e nella dolcezza dei ricordi che, entrambe, troveranno modo di convivere.

Non mancano note ironiche, se non comiche: quasi buffo l’episodio di un piccolo drappello dei tutori del “giusto vivere” ai piedi dell’albero sconfitti ( se pur temporaneamente) da una …brocca d’aranciata!

Quello stesso albero e quella stessa casetta sono, d’altra parte, avvolti nella malinconia dopo la notte di pioggia che li dissolve: era il momento delle decisioni, “era il momento di andare. Non portammo via nulla con noi….lasciammo ( tutto) all’inverno”.

C’è delicatezza e originalità nel trasmettere al lettore il senso del passare del tempo, nonostante qualche salto temporale. Mi è sembrato di percepire una relazione di significati tra tempo della storia ed il divenire del tutto, del perpetuarsi delle vite. Centrale, per significato e per narrazione, rimane la permanenza sull’albero, che tuttavia in termini di tempo è di breve durata. Ma è un fatto capitale: ci sarà un “prima di” ed un “dopo di”.

A proposito, rimane impressa l’immagine dell’orologio del giudice il cui “ticchettio sembrava il battito del cuore di una creatura delicata: una lucciola, una rana”. Nel finale, invece, il tempo appare sospeso tra realtà e ricordo, affidato alla musicalità della scena.

“Con tranquillo stupore” Collin, ormai adulto, e il vecchio giudice contemplano il panorama e rimangono in ascolto delle ” voci che raccontano una storia”.

Tutto il romanzo è affidato ad un lessico preciso, lucido ( lode alla traduzione di Bruno Tasso) nel raccontare; fortemente connotativo per aggettivi, paragoni, metafore, simboli nel descrivere. È una prosa che si fa poetica nella percezione del reale, in termini visivi, uditivi, tattili, che coglie il vento, le foglie, la pioggia, le stagioni, i piccoli animali. Tutto è vivo ( le foglie stormivano attorno a noi come farfalle notturne, vive svolazzanti, quasi fossero pronte a fuggire, a volare via…la natura è una catena di vita); le sensazioni si sommano, svelano il movimento ( Nebbia sorgente dal fiume e foschia autunnale tenevano dietro ai colori lunari fra gli alberi bronzei, gli alberi azzurrini,e un alone, a immagine dell’inverno, stringeva il suo anello attorno al sole che impallidiva).

( La giornata di un azzurro inamidato fischiava intorno a noi).

Termino con la descrizione della pioggia, realistica e simbolica, che in un’occasione diviene “lieve come una tenda di veli”, mentre in un’altra è ” un muro trasparente attraverso il quale egli la vedeva perdere consistenza”.

Recensione di Maria Guidi

L’ARPA D’ERBA Truman Capote

ACQUISTALO DA IBS ACQUISTALO DA FELTRINELLI ACQUISTALO DA LIBRACCIO

L’isola dei tesori, dove gli animali sono preziosi

Commenta per primo

Commenti

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.