LA STORIA DI SARA MOROZZI Maurizio de Giovanni

La storia di Sara Morozzi – Maurizio de Giovanni

Sara che aspetta.
Sara al tramonto.
Le parole di Sara.
Una lettera per Sara.
Gli occhi di Sara.
Un volo per Sara.
Sorelle. Una storia di Sara.

Sara, Teresa, Viola, Davide, Andrea. Sono questi i personaggi che incontriamo nel corso della storia. Ognuno con la sua solitudine.

E poi Massimiliano, che conosciamo soltanto attraverso i ricordi di Sara. Vive in quelle parole in corsivo che risuonano come una voce di notte che non vuole andare via: devastante.

In ultimo Boris, un “piccolo” Bovaro del Bernese. In realtà, un cane enorme, ingombrante. Ma tenero, affettuoso e intelligente. Il vero protagonista.

La storia è ambientata in una Napoli contemporanea che guarda, vorace, al passato, fino a mutarlo e con esso a mutare il presente.

“Non deve essere facile avere i tuoi occhi, Sara”.

Vorrei partire da qui, dalle parole usate da Maurizio de Giovanni per parlare della più intensa ed enigmatica protagonista femminile delle sue storie. Un incipit perfetto per percorrere insieme ed esplorare il viaggio di Sara.

Una crime fiction fatta di spionaggio e romanticismo, di ricordi che avvelenano e di erotismo, di humor, di mistero, di dramma, di opportunità perdute, di opportunità ritrovate. Tra passato e presente. L’ amore come una fiaba nera. Questa volta l’art du crime e l’art de l’amour si mischiano. Fino a diventare una storia sola. Une histoire d’amour et de crime. Un racconto e sei romanzi che “parlano” di amore e crimine. Così Maurizio de Giovanni ci accompagna in questo intreccio con un sapiente uso del lessico dei sentimenti.

“Rannicchiata nella macchina, ascoltando le folate improvvise di vento gelido che si infrangono sulle poche auto in transito lungo la strada, Sara aspetta”.

Sara irrompe così sulla scena della letteratura noir italiana. Diventando presto un punto di riferimento per appassionati lettori.

Conosciamo questo nuovo personaggio letterario di de Giovanni, nel 2018, con il racconto “Sara che aspetta” contenuto nell’antologia Sbirre, edita da Rizzoli, e pubblicato insieme ad altri due racconti di Massimo Carlotto e Giancarlo De Cataldo.

La sua storia prende vita da quella telefonata nel cuore di una notte assassina, da quella voce che le comunica che il figlio Giorgio, che lei ha abbandonato da bambino, è morto in un incidente stradale. Forse.

Non c’è più tempo per rimediare. Non c’è più tempo per riparare.

E, pagina dopo pagina, la storia di Sara cresce in un dialogo continuo con il suo passato, con i suoi ricordi, con i fantasmi di un amore perduto che vengono a cercarla ogni notte. In questo continuo “parlare” con l’Amore che prende la forma del corsivo tanto caro all’autore.

Sara come un flusso di coscienza. Sembra quasi uscita da un film del regista francese François Truffaut, così malinconica, spontanea, diretta, inquieta.

Sara e la solitudine. Sara, l’inquietudine della notte e la lucidità del giorno.

Sara aspetta, che arrivi l’alba a strapparla dal buio e dalla paura, dai ricordi e dai sensi di colpa.

Non ci fosse la notte … con i suoi fantasmi … non ci fosse la notte.

“Non ci fosse la notte. Ce l’avrei fatta, se non fosse esistita la notte …

Non ci fosse la notte, ce la farei …”. Come ne “l’antico amore”, la notte è boia e traditrice.

E l’inquietudine di Sara diventa quasi quella del lettore.

È proprio vero. Il crime è il nuovo romanzo sociale. In ognuno dei sei libri di Sara l’autore indaga la realtà contemporanea, e un recente passato che tanto passato non è, descrivendo la realtà sociale attraverso le sue ingiustizie, quella economica con le sue povertà, finanche quella politica, a volte solo tratteggiata o lasciata sullo sfondo, e quella giuridica che tutto abbraccia, silenziosamente. E indaga. Indaga sui misteri dell’Italia, con sapienti flashback, offrendo al lettore uno sguardo nuovo sulle vicende ancora non risolte, prive di colpevoli.

Il romanzo noir come romanzo sociale, quindi, in cui s’intrecciano narrazione e realtà e dove la prima diviene uno strumento per leggere e interpretare la seconda. La società come campo “d’indagine” e di riflessione.

A metà dell’ottocento, lo scrittore Francesco Mastriani fa un lavoro esattamente al contrario. Trasforma il romanzo sociale in un romanzo “nero”. Probabilmente con lo stesso obiettivo: la denuncia sociale, utilizzando il crimine come potente veicolo per giungere al lettore.

Ma “Sara” non è solo questo. Non è solo questo il Romanzo di de Giovanni.

Per dirla alla Daniel Pennac, la letteratura di de Giovanni ci dà l’illusione della oralità. Nelle sue storie ritroviamo il ritmo e la musicalità dei racconti orali. Leggiamo ma è come se quelle parole uscissero dalle pagine e venissero a parlarci. Talvolta, a confortarci. Le sentiamo.

Maurizio de Giovanni incontra Sara in una notte di un tardo inverno napoletano. Quando il cielo plumbeo e carico di pioggia lo porta a breve distanza da una donna seduta in macchina che sembrava aspettare. Chi? Cosa?

Nasce quella sera nella testa dello scrittore il suo personaggio più “nero”.

Sara, la donna che venne dal freddo.

Nasce prima il personaggio e poi la storia.

Quanto è difficile attraversare i tuoi pensieri, Sara.

Sara. Sara che “per anni aveva combattuto contro il sonno per paura dei sogni”. Sara che aveva il terrore d’incontrare quei fantasmi, i suoi fantasmi, Giorgio il figlio abbandonato da piccolo e Massimiliano “l’uomo che aveva amato con tutta se stessa”. Sara e i suoi sensi di colpa. Sara “costretta a una veglia infinita”.

Ma raccontami Sara, si può mettere a tacere il cuore? E i ricordi? Quando i ricordi parlano di quel cuore, parlano di amore?

Muore Sara. Muore ogni volta che i suoi fantasmi vengono a trovarla.

Eppure dovresti saperlo, Sara che “muoiono gli uomini ma non l’amore. L’amore no”. Che “una perdita non è un’assenza ma una forma differente di presenza”.

Come per “Il commissario Ricciardi”, anche nelle storie di Sara Morozzi, Maurizio de Giovanni mette al centro il rapporto con i morti, lo preserva, quasi se ne prende cura. I morti parlano. In uno chiedono giustizia, nelle altre sono il ricordo, la memoria di un amore che non vuole andare via. La Memoria, per l’appunto. Ancora una volta, una storia di fantasmi. Una ghost story. Che ci sia qualche legame di sangue tra i due?

“Massimiliano è la malinconia”. La voce della notte. Ma il destino fa in modo che quello stesso nome, diventi anche “la speranza”. La voce del giorno. Di un nuovo giorno.

Ecco allora che Sara vuole vivere. E la vita le va incontro restituendole ciò che inconsciamente cercava: la possibilità di fare la mamma. Quella mamma che non era stata. Sara di nuovo madre, di una nuora e del suo bambino.

Sara vuole vivere. E la vita prende il nome di Teresa Pandolfi. E le dà una nuova opportunità. Tornare a lavorare con un solo obiettivo: fare giustizia. Arrivare dove i “Servizi” non possono arrivare, dare voce alle vittime, destinate altrimenti al silenzio. Sara, una donna e una poliziotta senza compromessi.

Sara vuole vivere. E per questo va incontro al suo nuovo destino. Mamma, nonna, poliziotta. Sì perché un poliziotto, vedete, dal primo giorno in cui indossa la divisa non la lascia più. E Sara non ha mai smesso di essere una poliziotta.

Sara. Sara che si era resa invisibile come un personaggio dei cartoni animati.

Era il suo modo per proteggersi dal dolore, dagli sguardi insistenti, indagatori, ironici e malevoli degli altri. Di quelli che aspettano che tu cadi. E Sara era caduta. Sprofondata nel dolore aveva reso il suo corpo immobile e informe, nascondendolo sotto abiti consunti e “scambiati”, privi di colore. Come incolore era ormai la sua vita. Sara senza trucco e senza tacchi, come un’adolescente che rifiuta di lasciare il suo corpo di bambina. Sara con i capelli di quel grigio che richiama le notti napoletane che si preparano alla tempesta. Sara sotto “una pioggia di follia”, di doniana memoria. Sotto una pioggia “nera”. Sara senza travestimenti con quella femminilità tutta sua, quella che si era scelta. Che aveva scelto per sé.

Sara e le sue parole fatte di silenzio. Sara e il suo particolare talento, quella speciale abilità investigativa che le permette d’interpretare le espressioni del volto e le posizioni del corpo degli altri, passando attraverso la maschera di ognuno, oltre le ombre. Sara come lo specchio che riflette la prima immagine del mattino. Quella più vera.

Sara. Di Maurizio de Giovanni.

La canzone che ho scelto da colonna sonora del primo racconto e di questi sei romanzi di Sara è “La cura per me”, di Giorgia.

“Per me fare una follia è come la normalità / Non so più quante volte ti ho cercato / Per quegli occhi, per quegli occhi che fanno da luna / Non so più quante notti ti ho aspettato / Per finire a ingoiare tutta la paura di rimanere sola / In questa stanza buia / Solo tu sei la cura per me / Tutto passa / Ma scordarti non so ancora come si faccia …

Voglio andare avanti all’infinito / Trovarti dentro gli occhi di un cane smarrito …”.

Sara, malinconica e silenziosa. Che non vuole sprecare più neppure un giorno.

Sara che aveva aspettato come il “Cesare perduto nella pioggia”, di De Gregori.

Il tempo dell’attesa però era finito. Ma de Giovanni … lo sa.

Che sia per te “la prima notte di quiete”, Sara. Una notte senza sogni, una notte fatta per riposare.

Che sia “tenera”, la notte.

Sara Morozzi è tornata e come una “farfalla” ha ripreso a battere le ali.

Di Giuseppina Guida

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