LA PORTA Magda Szabo

La porta Magda Szabo Recensioni Libri e News UnLibro

LA PORTA, di Magda Szabo

 

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Recensione 1

Porto all’attenzione dei lettori di Un libro tira l’altro questo romanzo del 1987, già recensito due volte nel passato sul nostro sito con giudizi contrastanti, ma che ritengo meritevole di essere riproposto per la sua peculiare qualità letteraria.

Una storia a due e quasi un po’ a tre, si potrebbe dire, se pensiamo al ruolo significativo del cane Viola, come una persona, che è possibile abbia influenzato l’altro cane Seiemezza nel più recente Lezioni di chimica di Bonnie Garmus.

In un quartiere di Pest, la parte pianeggiante della capitale ungherese, nel quale tutti si conoscono, una scrittrice borghese moglie di uno scrittore vive la sua attività come una esclusiva missione che lascia da parte ogni altro impegno. Mossa dalle necessità di cura della sua abitazione, conosce l’impenetrabile e instancabile portiera Emerenc Szeredás che accetta di assisterla nelle faccende domestiche e così entra nella sua vita. Due caratteri forti, due donne in apparenza non disposte a cedere le proprie convinzioni e ad abdicare all’immagine di se stesse.

Il romanzo è, invece, la narrazione dell’incontro e di una reciproca educazione sentimentale tra una rigorosa intellettuale di ferrea formazione cattolica e una popolana dalle origini misteriose e dall’instancabile energia, gelosa del suo passato e della sua vita privata: nessuno può oltrepassare la porta della sua abitazione. Per vent’anni le storie personali delle protagoniste si intrecciano con le vicende dell’Ungheria passando dall’occupazione nazista durante la seconda guerra mondiale, al successivo oscurantista regime comunista, fino alle maggiori aperture prima della caduta del blocco sovietico.

È la storia della progressiva rivelazione delle drammatiche vicissitudini che hanno portato Emerenc a diventare una persona in apparenza scorbutica, irriverente e impenetrabile, che considera inutile e superficiale ogni attività intellettuale, ma che è in realtà desiderosa di una sincerità umana priva di convenzioni e di ipocrisia dopo i terribili dolori che ha patito nella sua giovinezza. È la storia autobiografica della scrittrice, la stessa Magda Szabó, che si confronta faticosamente con Emerenc mentre si svolge la sua vicenda personale di emarginazione per una lunga censura durante la dittatura e poi di successiva consacrazione come artista di primo livello nel panorama letterario ungherese. È la storia di un complicato, ma progressivo e reciproco svelamento di due donne, l’una dell’altra, due persone che non potrebbero essere più diverse tra loro, mentre il dolore sembra non avere requie.

La prosa originale e i costumi narrati nel libro ci portano nei territori dell’Europa centro-orientale oggi al centro dell’attenzione per le tensioni che li percorrono: aiutano a capire meglio i caratteri di quei popoli e la formazione del loro pensiero e delle loro peculiarità.

Al tempo stesso un romanzo di valore, dal sapore antico eppure tutt’ora attuale: con uno stile letterario intimistico e insieme universale. L’io narrante della scrittrice segue con partecipazione emotiva le vicende sino all’epilogo finale: ci dice che le relazioni umane e le cose che ci circondano devono essere coltivate, devono ricevere cura e passione per restare vive ed essere preservate dall’oblio e dal disfacimento. Una opera accorata, intensa e di forte spessore, più grande del numero delle sue pagine.

Recensione di Giovanni Rossi

 

Recensione 2

Ci troviamo nell’Ungheria post-bellica. Una scrittrice di successo cerca e ottiene l’aiuto di una anziana domestica -Emerenc- per svolgere i lavori di casa. Tra di loro nascerà un rapporto complesso e travagliato, che tuttavia le legherà a doppio filo nonostante l’evidente diversità e apparente mancanza di qualsiasi punto di contatto. Ad un certo punto credo che tutti si saranno chiesti: ma e’ vero? Perché una volta -una volta sola in tutto il romanzo- il personaggio della scrittrice viene finalmente chiamata con il suo nome: Magda. Se la scrittrice di cui lèggiamo e’ quindi l’alter ego della Szabo, Emerenc e’ davvero esistita? Ni.

 

 

Curiosando, ho scoperto che la Szabo aveva davvero una domestica a cui era molto legata e a cui si e’ ispirata per il personaggio di Emerenc. Detto questo, non so però dove la realtà inizia a diventare finzione. “La porta” e’ in fin dei conti un romanzo, e per quanto autobiografico rimane il dubbio sul punto di separazione tra realtà e fantasia. Chi e’ Emerenc? A parte “una vecchia-una domestica-una portinaia-una donna strana” cosa sappiamo di lei-personaggio? Ricostruire la sua vita non e’ facile, e’ come comporre un puzzle, perché non lascia avvicinare praticamente nessuno e non apre la porta.

 

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Non solo non apre la porta di casa sua, ma anche quella che da’ nel suo intimo. “Non si concesse mai veramente a nessuno, sembrava quasi volerci indispettire tutti quanti anche nella tomba, probabilmente si divertiva alle nostre spalle, in compagnia degli altri morti, osservandoci mentre cercavamo di radunare i frammenti della sua storia, ciascuno aggiungendo la propria parte di informazioni che combaciava con quella degli altri. Portò per sempre con se’ almeno tre dati essenziali, e se davvero ci guarda dall’aldilà può essere soddisfatta, perché gli elementi per ottenere una spiegazione completa ci mancano ancora e probabilmente non li avremo mai.” Emerenc accoglie tutti sull’atrio, nessuno può entrare in casa. E’ capitato di rado e in condizioni eccezionali; altrimenti, la porta resta chiusa.

 

 

Con Emerenc si pranza, si prende il caffè, si chiacchiera, si sgranano piselli, si stendono testamenti sull’atrio. La donna difende il suo essere, la sua vita e tutto ciò che ne fa/ne ha fatto parte con meticolosità, senza per questo essere sola da un punto di vista prettamente fisico. Ha molti amici infatti, e stringe molte relazioni, nonostante a tutte ponga un veto: la soglia di casa non si passa. Cosa potrebbe succedere se un giorno quella soglia proibita dovesse essere varcata? Se qualcuno guardasse dentro? Un romanzo che mi ha affascinata e che mi ha aperto la strada verso una scrittrice che non conoscevo. Approfondirò. “Impedire a qualcuno di soffrire e’ il miglior regalo che si possa fare. Per questo motivo non apro mai la porta”

Recensione di Benedetta Iussig

Recensione 4

Scritto nel 1987, insignito del Premio Getz Corporation (Stati Uniti) nel 1993 e del Prix Femina Étranger nel 2003, “La porta” arriva un po’ dopo in Italia, grazie alla splendida traduzione di Bruno Ventavoli.

È un romanzo che racconta la storia di due donne, completamente diverse, una il contrario dell’altra, che si ameranno profondamente. Non riusciranno ad abbattere tutte le porte che separano gli esseri umani, ma la loro relazione dimostra come non importa essere uguali per amarsi. Nella diversità si cresce e si scoprono nuovi risvolti del proprio essere che non sapevamo esistessero.

 

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Magda Szabò, (Debrecen, 5 ottobre 1917 – Kerepes, 19 novembre 2007), fra le scrittrici ungheresi più tradotte al mondo, viene da lontano. Ha scritto quaranta romanzi, opere teatrali, saggi, sceneggiature, libri per ragazzi. Un grande talento, poco conosciuto fuori dall’Ungheria.

Negli Anni Sessanta Feltrinelli pubblicò “L’altra Ester”, con la copertina di Bruno Munari, ma non vi fu un seguito. Anche in patria, le cose non andavano meglio. Stalinismo, repressione sovietica, censura, la misero in un angolino. Con il potere non andava d’accordo. Perse il suo lavoro presso un ministero di Budapest e finì in una scuola di provincia.

 

Grazie a Hermann Hesse, che per caso lesse un suo libro giunto di nascosto in Germania, la scrittrice venne tradotta in tedesco alla fine degli Anni Cinquanta. Iniziò a collaborare con giornali stranieri, qualche sua opera venne tradotta, ricevette premi letterari.

Poi con “La porta” arrivò il successo. Questo romanzo intenso, vibrante, lo scrive a settant’anni, con la verve e la freschezza di una giovane, come se tutta la vitalità soffocata nel lungo periodo di silenzio forzato fosse stata messa in soffitta e finalmente ritirata fuori.

È un racconto autobiografico, ambientato in un’Ungheria d’inizio secolo (scorso), dove il gioco degli specchi fra realtà e finzione è abilmente costruito e di grande impatto per il lettore.

C’è nella trama di questo romanzo psicologico una musica lancinante e una foschia melanconica quasi respingente nello svolgersi lento degli eventi. Intimista, Magda Szabo alterna furore e infinita dolcezza quando sviscera gli stati emotivi dei personaggi. Scava per estrarre l’essenza delle relazioni umane e tutte le sue sfaccettature e complessità.

Cerca di capire l’amore-odio che lega e separa le persone nell’istante in cui si scelgono. Misura i complicati movimenti dell’anima umana e vuole in qualche modo dimostrare che in fondo a un percorso doloroso e difficile, fatto di abnegazione e distruzione, la prospettiva di un fragile sollievo emerge sempre. Ogni relazione non manca di contrasti.

Solo chi amiamo veramente, è in grado di farci del male; allo stesso modo, anche con grande sforzo, difficilmente riusciremo a condividere l’origine profonda del dolore che ha segnato per sempre chi ci circonda e del motivo per cui riesce a colpirci così nel profondo. Ma dietro la porta delle apparenze chi siamo veramente? Cosa nascondiamo? Cosa vogliamo tenere fuori dallo sguardo degli altri?

Finito il libro, restano tanti interrogativi, ma è proprio lì il fulcro del percorso di ricerca che la narratrice svolge nel tempo del racconto, intensificato dal flusso poetico di questo ‘ensemble’ altrettanto bello quanto sconcertante.

Capolavoro di piccolezze, di resoconti di una quotidianità densa di dettagli, il romanzo viene riadattato da Massini per il teatro, tentando di lasciarne inalterata la semplicità attraverso una messa in scena scarna. Un regista omonimo ne fa un film nel 2012, indubbiamente attratto dal rapporto intenso fra la domestica, Emerenc e la narratrice scrittrice, la stessa Magda.

Mi piace ricordarle entrambe così: la prima con una pesante scopa di betulla, più alta di lei, mentre spazza la neve dal marciapiede. La seconda china sui libri, o su un quaderno intenta a scrivere: «Una sola volta nella mia vita, nella realtà e non nell’anemia cerebrale del sonno, una porta si spalancò davanti a me, la porta di una persona che voleva difendere a ogni costo la propria solitudine e la propria misera impotenza, che non avrebbe mai aperto nemmeno se le fosse crollato addosso il tetto in fiamme.

 

Solo io avevo il potere di vincere quella serratura: la donna che girò la chiave aveva più fede in me che in Dio, e io stessa, in quell’istante fatale, credetti di essere saggia, buona, razionale, come Dio. Ci sbagliammo entrambe, lei che si fidò di me, io che confidai troppo in me stessa».

Con queste parole amare e profonde vi lascio, cari amici e ringrazio il mio amico coreografo Andrea che me ne consigliò la lettura anni fa, e mia sorella Anna che me ne ha fatto riscoprire la bellezza quest’estate.

Non a caso due persone a me molto vicine. Due persone che amo molto. Perché attraverso le nostre letture, condivise, i rapporti si consolidano, si arricchiscono, integrano e mescolano quegli ingredienti che nel quotidiano ci sfuggono.

I consigli de lCaffè Letterario Le Murate Firenzedi Sylvia Zanotto 

Recensione 4

Lo avevo acquistato quando uscì, tanti anni fa, ma solo adesso l’ho letto.

La scrittrice è una grande, una che sa raccontare un’epoca e un paese (l’Ungheria) attraverso il rapporto fra due donne molto diverse fra loro per storia, cultura, età, estrazione sociale. Una, la voce narrante, è una scrittrice famosa, l’altra è la sua anziana domestica, che ha vissuto gli orrori del primo ‘900. Due donne forti, in conflitto perenne. Nascerà tra loro un legame profondo, un affetto e una conoscenza intima.
“La porta” è reale e metafora. È la porta del cuore. La porta chiusa, la porta che si aprirà una sola volta, la porta distrutta dalla violenza.

 

Se dovessi riassumere il tema in poche parole direi che l’autrice si interroga sul tradimento, sulle sue possibili estreme conseguenze.

Lo stile non permette una lettura facilissima, ma vale lo sforzo.
Ho chiuso l’anno in bellezza con questo romanzo.

Recensione di Carla Benedetti

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