LA NEBBIA E IL FUOCO Roberto Cotroneo

LA NEBBIA E IL FUOCO, di Roberto Cotroneo (Fetrinelli – aprile 2025)

 

 

“Aldo è il silenzio, l’oblio che è un diritto di tutti. Non quello di essere dimenticati, ma quello di lasciarsi ricordare davvero”

“La nebbia e il fuoco” è la commovente dichiarazione di gratitudine di un uomo verso un grande maestro.
È il racconto di come Aldo, professore d’inglese, entra nella vita di Roberto Cotroneo al tempo del liceo, e la stravolge.
Non è un romanzo autobiografico, è qualcosa di molto più intimo, di più profondo.
L’autore si svela, si spoglia di tutto, non è il famoso scrittore, l’apprezzato fotografo, il critico letterario, è semplicemente Roberto, uno studente appassionato e curioso, che ritorna con la memoria sui banchi di scuola al giorno in cui Aldo entra in classe e semplicemente chiede: “Avete mai sentito parlare del dottor Johnson?”
Non c’è una trama da seguire, non c’è un ordine cronologico di avvenimenti; l’autore si muove “per frammenti”.
Come succede quando si cerca di fermare il tempo, su un dettaglio, una parola, una sensazione: si sta fermi, immobili, concentrati su ogni singolo frammento di memoria, che inevitabilmente è legato ad un altro e così via.
E allora mi sono trovata a inseguire “un tempo che non può tornare”.
La nebbia è Alessandria, la città dove l’autore è nato e che non ne esce benissimo da questo libro: una città dove tutto viene cancellato, le cose e i ricordi spariscono, la memoria non viene custodita, dove si vive un presente tiepido, innocuo ma rassicurante.
Non è una nebbia dove ci si perde per ritrovarsi, per vivere la curiosità e il gioco del cercarsi. E’ una nebbia che tutto avvolge e inghiotte.
“Qualcuno ha detto che le tue radici sono dove sei stato felice per la prima volta”, per l’autore questa felicità non è stata nella sua città natale, un’ammissione onesta e coraggiosa.
La nebbia l’ho percepita nelle mille domande che lo scrittore si pone, sulla sua vita, sulla sua condizione di essere umano, sull’impossibilità a volte di trovare spiegazioni, domande in cui è facilissimo perdersi.
E poi c’è il fuoco.
Il fuoco della passione di Aldo nato con la missione di insegnare, un professore che ancora “guida nei pensieri” il narratore.
Il fuoco della resistenza e della sua esperienza da partigiano, breve ma intensa, che gli ha cambiato la vita.
Il fuoco della curiosità, della creatività e della sete di conoscenza dell’autore, che grazie anche e soprattutto a questo maestro si è appassionato di letteratura, di scrittura, di fotografia e di teatro.
Il fuoco è nelle parole, precise, dirette, chiare, non approssimative e non casuali, che non concedono sconti a nessuno, primo fra tutti lo scrittore stesso. Ed è nella loro importanza, “espressione di una cultura”, proprio come dice Calvino nelle sue lezioni americane, “La letteratura (e forse solo la letteratura) può creare degli anticorpi che contrastino l’espandersi della peste del linguaggio.”
Il fuoco infine ce l’ho visto nel finale che ovviamente non ha una fine, e quindi lascia tutto ancora possibile, “non finire è un discorso che resta aperto”, e qualcosa che è ancora possibile è qualcosa che resta vivo!
Un racconto onesto, sincero, limpido e commovente.
“E così non sono stato capace di chiedere ma soltanto di riscrivere”
Buona lettura!

Recensione di Cristina Costa

 

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