LA LEGGENDA DEL SANTO BEVITORE e FUGA SENZA FINE Joseph Roth

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LA LEGGENDA DEL SANTO BEVITORE e FUGA SENZA FINE, di Joseph Roth

In un libro due belle storie di facile e fluida lettura. Roth ha il dono di raccontare storie in maniera “naturale”.
E’ una narratore leggero e puro. E sebbene le sue storie sembrano dare l’impressione di raccontare tanto per raccontare, dare voce all’ancestrale bisogno umano di storie, di epica, ovvero di miti, tuttavia non è cosi.

Per ben capire le due storie, collegate dal quel senso di non appartenenza, bisogna immergersi in una dimensione senza passato, nè presente e nè tantomeno futuro; inquadrarle in quella voragine esistenziale generatasi in uno scenario storico compreso fra le due grandi guerre nel quale un’intera generazione, confusa e disillusa, percorreva l’esistenza poggiando i piedi in un terreno franato, in una nebulosa visione del mondo.

Da ciò il lettore comprenderà i protagonisti, il loro cammino silente, i loro passi felpati e leggeri e la loro paura di precipitare nella crepa temporale.

 

Sia Andreas, il clochard che vive sotto il ponte della Senna, che Tunda, l’ ex tenente dell’esercito austriaco di un Impero che non esiste più, sono uomini senza tempo né spazio: il primo è un recipiente vuoto a contatto con l’assoluto in un tempo mistico e fiabesco, il secondo è “un giovane senza nome, senza fama, senza rango, senza titolo, senza denaro e senza lavoro, senza patria e senza diritti”

 

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In entrambi i racconti le figure dei protagonisti appaiono simili: non reagiscono al caso, si lasciano trasportare dagli eventi.

E se nel caso di Andreas, il protagonista de “La leggenda del santo bevitore”, questi ha la possibilità di superare il vuoto esistenziale di una vita alla deriva destituita di qualsiasi senso, attraverso inspiegabili miracoli che lo spingono verso l’inserimento alla società e che lui stesso, forse, respinge preferendo elevarsi al nulla assoluto, definito ed eterno; nel racconto di “Fuga senza fine” Tunda, il protagonista, non ha la stessa fortuna e rimane in bilico, disincantato e smarrito, in una realtà che sente non appartenergli più, dove il vuoto non è assoluto ma voragine tra un lontano indefinibile passato e un presente senza continuità.

Bellissimi i passaggi della “Leggenda…” morbidi e soavi come una nenia.

“La leggenda del santo bevitore”, nella sua brevità e nella sua purezza è poesia lirica.
Pacata, forse per questo più incisiva e toccante, la denuncia di Tunda, “Fuga senza fine”, di una società in cui non si riconosce più, società conforme alle leggi della sopravvivenza, mascherata di coscienza sociale nella quale i nuovi ricchi si puliscono le coscienze.

 

 

E se è vero che i due racconti, soprattutto “La leggenda del Santo bevitore”, non sono altro che il testamento letterario di Roth, sono altrettanto vere le evidenti quanto perfette coincidenze fra biografia e poesia e fra etica letteraria e poesia oggettiva, coincidenze che risultano il vero miracolo, la salvezza, l’eternità del suo autore.

“Cosi come non si rende libero un detenuto quando lo si rilascia dalla prigione, cosi non si rende felice un orfano quando gli assicuri un posto in un orfanotrofio. In questo mondo non si sentiva a casa. E dove si sentiva a casa?”
…siamo estranei in questo mondo…”
da “Fuga senza fine”

Recensione di Patrizia Zara

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