LA DONNA CHE ODIAVA I CORSETTI, di Eleonora D’Errico (Rizzoli – aprile 2024)
È la storia di Rosa, nata a Tirano alla fine dell’ Ottocento, primogenita di una famiglia con troppi figli e pochi soldi. La nonna paterna, di Grosio, faceva la sarta, e insieme con il mestiere le ha insegnato l’amore per l’indipendenza e l’importanza del saper leggere e scrivere, oltre alla capacità di saper fare tutto da sola senza contare su nessuno.
Rosa diventa “adulta” a 10 anni, quando la madre si deve riprendere da un parto prematuro e difficile e lei la deve sostituire nell’ accudire i fratellini e nell’ assistere il padre alla bottega di calzolaio. Fino a quando la zia paterna la porta a Milano, per farla lavorare come “piscinina”. Le “piscinine”, come ci ha raccontato Silvia Montemurro nel suo ultimo romanzo, erano le bimbe, anche molto più piccole di Rosa, che fungevano da assistenti per le sarte effettuando consegne a domicilio, spostandosi a piedi nella grande città. Spesso erano trattate come serve, a volte abusate dai mariti delle “maestre”; in ogni caso svolgevano un lavoro pesante, pericoloso e non adeguato alla loro età.
Ciò che all’inizio sembra a Rosa un evento luttuoso – essere strappata alla famiglia, alle montagne – si rivela inizialmente una sfida contro le difficoltà di un lavoro sconosciuto e i monelli di città che pensano di poterla ingannare a piacimento sfruttando la sua ingenuità. Presto però la nuova esperienza diventa per lei una grande opportunità.
Rosa infatti, dotata di uno spiccato senso per gli affari e di spirito di iniziativa, si distingue presto dalle altre piccinine e, suscitandone l’invidia, viene promossa al ruolo di sartina. Dal laboratorio della zia, spinta dall’ ambizione di sviluppare appieno le sue doti sartoriali, si sposta in un famoso atelier situato nella galleria Vittorio Emanuele, dove, di nuovo, la sua bravura e la sua passione per il lavoro la escludono dal gruppo invidioso delle altre sarte.
Da Milano a Parigi, allora capitale della moda, dove, partendo dal nulla, acquisterà una fama tale da poter fare tendenza nel mondo esclusivo del fashion, senza dimenticare la lezione appresa dalla nonna grosina, concretizzandola anche in un importante ruolo nelle rivendicazioni femministe.
In questo corposo e coinvolgente romanzo c’è la Milano grigia, della nebbia, degli orfani abbandonati, dei bambini sfruttati, di un mondo maschile che guarda alle donne, se va bene come a graziosi soprammobili, e se va male come ad oggetti di piacere. Ma c’è anche anche la Milano luminosa, di palazzi imponenti, della prima regina dell’ Italia unita in visita, del primo tram a vapore, delle meraviglie della Belle Epoque.
E la Milano dei primi turbamenti politici, con le rivendicazioni sociali degli operai, i disordini degli anarchici, la disillusione di chi lottò con Garibaldi ed ora va a braccetto con i monarchici, le prime voci di donne a parlare di pari dignità, gli scioperi e la feroce repressione che porto all’omicidio del re.
E poi c’è Rosa, che sogna in grande e non vuole che i suoi sentimenti la costringano nella prigione di un matrimonio e una famiglia che tarperebbero le ali alle sue aspirazioni, in un conflitto interiore che ancora oggi molte donne sono costrette a risolvere senza che nessuno le aiuti. Rosa, che viaggia tra Milano, Parigi, Londra, non vuole più chinare la testa davanti ai soprusi dei datori di lavoro, e, guidata da un grande senso di giustizia e solidarietà femminile, metterà la sua arte, la sua tenacia e la sua forza al servizio delle donne, perché possano vivere libere dai corsetti e dai pregiudizi
Recensione di Maria Teresa Petrone
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