Intervista a Fabio Gimignani, cofondatore con Lisa Di Giovanni della rivista letteraria LibrOfficina

Intervista a Fabio Gimignani, cofondatore con Lisa Di Giovanni della rivista letteraria LibrOfficina

 

Intervista n. 263

 

Come prima domanda vi chiederei di presentare questa nuova rivista.

“Librofficina. I libri visti da dentro” nasce da un progetto di Fabio Gimignani (Edizioni Jolly Roger) e Lisa Di Giovanni (PR&Editoria) lasciato sedimentare per molti anni, durante i quali siamo riusciti a catturare l’essenza stessa del Libro colta in ogni sua sfaccettatura e in ogni settore professionale che contribuisce alla sua nascita.

Abbiamo pensato che il pubblico (e non mi riferisco soltanto ai lettori) presentasse numerose lacune cognitive circa l’iter che un libro segue dalla prima scintilla al posizionamento sugli scaffali, quindi il progetto che abbiamo portato avanti è volto principalmente a colmare questi vuoti con un’informazione concreta e ben miscelata per far sì che chiunque possa comprendere appieno tutta la mole di lavoro che si nasconde dietro a ogni pagina e, di conseguenza, attribuire a ogni volume che si trova a sfogliare l’importanza che merita.

Con “Librofficina” l’obiettivo è quello di fare “cultura nella cultura” in modo informale e accessibile a tutti.

 

 

 

Puoi scaricare la Rivista QUI

 

 

Quali sono state le spinte e quali le ambizioni con cui avete intrapreso questo progetto editoriale?

Le spinte sono state indubbiamente le lacune di cui parlavo poc’anzi, oltre al desiderio di riallineare correttamente molti concetti che un certo tipo di Editoria mordi-e-fuggi ha pesantemente sbilanciato nella percezione dell’utente, sia esso uno scrittore o un lettore.

Le ambizioni – o meglio l’ambizione, perché il tutto si riduce a un unico concetto – è quella di creare un punto di riferimento per tutta la filiera dell’Editoria al quale possano attingere autori, editor, editori, grafici, tipografi, esperti in comunicazione e distributori, certi di poter trovare un’informazione chiara e avulsa da qualsiasi logica di bandiera fin troppo presente negli attuali canali di comunicazione creati, in massima parte, per fungere da specchietto per le allodole in un universo nel quale il profitto sembra essere il primo e unico scopo di chiunque.

Dal conto nostro possiamo vantare decenni di esperienza e posizioni ormai consolidate che ci pongono al di fuori e al di sopra di simili logiche fondate su un larvato opportunismo da registratore di cassa.

 

Fabio Gemignani

 

A chi è rivolta in particolare la vostra rivista, qual è, se possibile delinearlo, il vostro lettore tipo?

La rivista si rivolge a tutti coloro che abbiano a che vedere con il comparto editoriale, senza distinzione.

È un canale a due sensi nel quale chiunque ha la possibilità di dire la sua (ovviamente con cognizione di causa e senza volere a tutti i costi portare l’acqua al proprio mulino) in un confronto pacato e costruttivo, volto ad accrescere la cultura del Libro in ogni sua sfaccettatura.

Il lettore tipo potrebbe essere l’amante dei libri: quello che, andando oltre gli sconfortanti dati ISTAT, legge più dei miseri quattro libri all’anno. Ma ci piacerebbe poter annoverare nel nostro pubblico anche autori in cerca di chiarezza e conoscenza, editor con una solida formazione e non in possesso del classico corso online che trasforma il piombo in oro, editori con la speranza di riportare il settore agli splendori dei tempi di Le Monnier, tipografi di rango che ancora amano il frusciare della carta nelle rotative e che non hanno già barattato l’Arte di Manuzio con una macchina digitale di terza mano, grafici e illustratori che usano il Macintosh, ma conoscono il metodo per creare una gabbia con il sistema delle doppie diagonali e le proporzioni auree, uffici stampa specializzati nell’editoria che operano per la reale diffusione del libro e non si limitano ad acquistare sponsorizzate di nessuna efficacia rivendendole come moderne pietre filosofali, distributori capaci di collaborare con le case editrici senza limitarsi a fungere da broker per le spedizioni ai grossisti, librai indipendenti o appartenenti alle Majors con il desiderio di riportare la libreria al suo antico ruolo di aggregatore culturale e non considerandola un supermarket della carta stampata e, ultimi ma non ultimi, lettori curiosi, voraci, selettivi e ancora capaci di operare la necessaria distinzione tra un Libro e  (chiedo venia per il francesismo) una solenne vaccata spinta dall’influencer di turno che, probabilmente, domani piazzerà il suo nome su una marca di tonno in scatola.

 

Lisa Di Giovanni

 

Mi ha colpito molto l’editoriale in apertura del vostro primo numero, ‘I libri hanno un’anima”. Le va di condividere qualche riflessione su questa frase apparentemente semplice ma di grande profondità?

È una profonda convinzione, ed è per questo che continuo a fare sia lo scrittore che l’editore, conscio del fatto che nessuna delle due professioni mi permetterà mai di comprare una villa in Costa Smeralda (anche se mi accontenterei di un piccolo appartamento vista mare, ma non ditelo in giro, che non si sa mai).

L’anima del libro è quella parte immateriale annidata tra le pagine, capace di trasfondere emozioni da esse fin nel cuore del lettore. In realtà è un’aggregazione di anime, perché a partire dallo scrittore e procedendo via via lungo la filiera, se chi contribuisce alla nascita del libro lo fa con la doverosa passione, è immancabile che un granello dell’anima di ciascuno rimanga attaccato al volume.

È un po’ come per l’elettrolisi: piccoli corpi vengono attratti dal polo giusto e intorno a lui creano la materia. L’anima del libro esiste a prescindere; la giusta soluzione permette che ogni molecola si unisca alle altre per renderla finalmente percepibile pagina dopo pagina.

È un concetto da sognatore, lo so, ma se non lo fossi probabilmente avrei continuato a fare il pubblicitario.

 

Ho visto che c’è molto spazio dedicato ad autori emergenti o comunque esterni al circuito maistream, quanto è importante e quanto si può fare per valorizzare la narrativa contemporanea?

Uscire dal mainstream e sia una scelta che una necessità. E mi spiego.

Sia io che Lisa Di Giovanni operiamo una selezione prima di prenderci carico di un nuovo autore.

Dopo tanti anni trascorsi nel settore siamo entrambi arrivati al punto in cui abbiamo la possibilità di scegliere per chi darci da fare, e gli autori egoriferiti, quelli ai quali interessa solo pubblicare per potersene vantare con gli amici (o rimorchiare sui Social; ma questo non l’ho mai detto) non fanno per noi.

Perché noi quell’anima di cui parlavo vogliamo intravederla già tra le righe del manoscritto, per poi ammirarla in tutto il suo splendore negli occhi dell’autore nel momento in cui gli diciamo «Sì! Il tuo libro ha tutto il diritto di essere pubblicato e diffuso nel migliore dei modi».

E in quel momento sappiamo che altre persone che lavorano insieme a noi daranno il massimo affinché a ogni potenzialità dell’opera venga dato il risalto che merita.

Crediamo negli autori esordienti ed emergenti.

E ci crediamo perché spesso le perle si annidano anche in quelle ostriche che nessun ristorante in Costa Azzurra porrebbe su una montagna di ghiaccio tritato, semplicemente perché non risponde a determinati canoni del tutto arbitrari.

Poi è una necessità.

E lo è in virtù del fatto che per i summenzionati canoni, anche se presi secondo la direzione inversa,  nessun autore pubblicato da una casa editrice prestigiosa appartenente al circuito che al Salone di Torino occupa i primi due capannoni (ndA: il terzo capannone di Lingotto è per i poveri cristi che pagano lo stand e quindi non possono essere estromessi dalla manifestazione, ma vengono nascosti il più lontano possibile dall’editoria di Stato e da quella blasonata) si abbasserebbe mai a pubblicare con un editore che, nonostante il cuore profuso nel proprio lavoro, è costretto a sgomitare per far emergere il prodotto.

E lo stesso dicasi per gli uffici stampa: chi viene coccolato dai Grandi della diffusione non si sogna nemmeno di affidarsi a qualcuno con meno palle sulla corona, anche se, paradossalmente, a volte riceverebbe un servizio maggiormente personalizzato (high touch, come dicono quelli che hanno fatto la Bocconi) e di conseguenza più efficace.

Ma parlare di questo, ahimé, ci porta troppo spesso sotto a quell’uva che sicuramente era acerba.

 

Viviamo in un’epoca dove il digitale prende sempre più campo e anche il libro cartaceo si scontra con i più economici, pratici ma anche per certi versi freddi ebook. In questa cosa vede più un problema o una sfida per l’editoria cartacea?

L’eBook è una necessità, e su questo non si discute.

Io stesso per questioni di tempo (e di diottrie, ma anche in questo caso nego di averlo detto) riverso i manoscritti su un Reader per poterli esaminare senza dovermi sobbarcare chili e chili di carta.

Come editore, però, pubblico in cartaceo e giungo all’elettronico solo su precise richieste dell’autore e almeno dopo quattro o cinque mesi dall’uscita del libro.

Non è snobismo, badate bene, ma la certezza del fatto che ogni libro pubblicato in eBook, entro un massimo di quarantott’ore è scaricabile in versione pirata da piattaforme delle quali non voglio fare il nome per non conferirgli notorietà oltre a quella che già possiedono.

La vera sfida consisterebbe nel tutelare i diritti d’autore attraverso l’impiego di tecnologie digitali capaci di arginare il fenomeno della pirateria, ma so di scontrarmi con qualcosa di molto, molto più grande di me.

Comunque, prima di andare in digitale, metto sempre al corrente l’autore del fatto che da quel momento le vendite del libro subiranno una flessione verticale fino  cessare del tutto. La scelta, a quel punto, è sua.

 

Sempre per rimanere nell’ambito digitale e ovvio che oggi siano i Social la piattaforma di maggiore scambio culturale e confronto/scontro, qual è il suo rapporto con questa realtà?

Conflittuale.

Riconosciamo il potere dei Social ed entrambi ce ne serviamo per diffondere i titoli in maniera quanto più capillare possibile, però siamo anche consci del fatto che il loro dilagare incondizionato ha portato allo scoperto tanta improvvisazione mascherata da esperienza.

Oggi nessuno controlla più niente, a partire dalle fonti sulle quali alcuni libri sono basati, fino al reale controllo dei background professionali dei vari sedicenti professionisti.

In soldoni, se sei bravo a gettare la rete in rete (lo so: questa è bruttissima), puoi essere certo di portare a casa qualche risultato, ovviamente a scapito del malcapitato di turno e, soprattutto della credibilità di chi il lavoro lo fa seriamente e con delle signore basi.

Ma è il mercato, e tutto quello che possiamo fare per opporci a una simile tendenza consiste in un’informazione concreta e imparziale come quella che diffondiamo tramite le pagine di “Librofficina”.

Poi, dal lato scrittori, soprattutto Facebook ha creato una serie di aspettative a dir poco fantascientifiche: autori esordienti che, forti dei like rastrellati sul proprio profilo, si presentano convinti di essere la reincarnazione sobria di Hemingway e non accettano rifiuti o consigli.

È deprimente, ma questo rappresenta il rovescio di una medaglia che tutti abbiamo accettato. Possiamo dire che sia la proverbiale bicicletta che abbiamo voluto, e ora ci tocca pedalare.

 

Per concludere, ringraziandola per la sua disponibilità, le chiedo cosa possiamo aspettarci nelle prossime uscite e se ha qualche sogno nel cassetto a riguardo.

A parte il fatto che siamo Lisa Di Giovanni e io a dovervi ringraziare per l’interesse dimostrato e per le domande che hanno dato la stura alla mia proverbiale logorrea, nei prossimi numeri potrete aspettarvi tanta informazione sulla filiera editoriale, tante notizie sui bei libri che meritano di essere letti nonostante non siano stati editi da nomi altisonanti e, soprattutto, potrete aspettarvi tutto questo proposto con chiarezza cuore ed onestà.

Di quella che ogni tanto fa storcere il naso ai piani alti, ma alla quale comunque non saremmo capaci di rinunciare, proprio in virtù dell’anima che riconosciamo ai Libri.

Sogni ne abbiamo tanti, ma se proprio dovessimo esprimerne uno sarebbe quello di riuscire a pubblicare “Librofficina” anche in cartaceo con una distribuzione nazionale e renderlo disponibile in ogni libreria, dalle più grandi alle più piccole.

La pace nel mondo no: quella ce la lasciamo per Salsomaggiore Terme.

 

Intervista di Enrico Spinelli

 

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