IL PADIGLIONE D’ORO, di Yukio Mishima
Lo sgraziato novizio Mizoguchi è stato allevato dal padre, prete di campagna, nel mito della perfezione estetica del Kinkaku-ji, il padiglione d’oro del Rokun-ji di Kyoto, edificio che agli occhi del giovane dovrebbe racchiudere in se’ gli ideali di bellezza e spiritualità; Mizoguchi è tanto gobbo e balbuziente quanto il tempio è perfetto e presto il novizio inizia a sentire questa differenza come una sfida…
La bellezza come ideale estetico che si rivela, nello stesso tempo limite e condanna: questo è uno dei messaggi contenuti nella vicenda del novizio innamorato dello scrigno architettonico rappresentato da celebre tempio, che sotto il suo dorato rivestimento rivela di essere vuoto, inutilmente sfavillante e ammaliante; allo stesso tempo il Kinkaku-ji rappresenta anche la visione del Giappone moderno agli occhi dello scrittore che ne criticava l’immobilismo, l’attaccamento alle tradizioni come atteggiamento di facciata, una cosa bella da vedere ma inutile come dimostrano le file di turisti che lo ammirano ma poi gli voltano le spalle o peggio ancora lo umiliano come i marines che vi conducono le prostitute.
L’ossessione di Mizoguchi diviene, infine, consapevolezza della ‘insanabile dicotomia tra ideale e reale e impone al novizio di scegliere tra la rinuncia all’ideale, che equivale a una resa, o agire in modo da eliminare ciò che crea la differenza.
Tra riflessioni filosofiche alle quali non è estraneo il pensiero occidentale e suggestioni buddiste, oltre all’immancabile esaltazione della sconfitta come emblema di eroismo puro, Mishima propone un racconto che è anche una riflessione sul valore e lo scopo dell’arte nella contemporaneità – non semplice immagine da cartolina ma stimolo – narrando la vicenda con il suo inconfondibile stile caratterizzato da sapienti descrizioni e linguaggio curato, sorvegliato e profondo. Una lettura impegnativa, ma consigliata.
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