
Il libro del mese: HORCYNUS ORCA, di Stefano D’Arrigo (Rizzoli – aprile 2025)

In un anno come questo, densissimo di “anniversari letterari” non si possono dimenticare i cinquant’anni dell’opera più discussa e controversa del secolo scorso, “Horcynus Orca” di Stefano D’Arrigo. L’autore iniziò a scriverla intorno al 1950 e continuò a rivederla per oltre vent’anni durante i quali furono dati alle stampe alcuni estratti col titolo de “I giorni della fera” che crearono molte attese. Ma all’indomani della pubblicazione (1975, appunto) la critica si divise: da una parte coloro che ne parlarono come di un capolavoro, anzi della “risposta italiana a Moby Dick”, dall’altra chi la giudicò un tentativo ambizioso e mal riuscito. Allo stesso modo reagirono i lettori: molti affascinati dalla postmodernità del libro, altri scoraggiati dalla struttura e dal linguaggio fortemente innovativo. In effetti, il romanzo – che copre un arco temporale di soli cinque giorni – ha una mole notevole (1264 pagine prive della tradizionale suddivisione in parti o capitoli) e, soprattutto, un linguaggio arduo per l’impasto di forme auliche, parlata popolare e neologismi.
Ma nonostante le innegabili difficoltà il romanzo di D’Arrigo si presenta come una nuova Odissea, un ‘nóstos’, racconto del viaggio che ‘Ndrja (Andrea) Cambria, nocchiero della Regia Marina, intraprende dopo l’8 settembre per raggiungere lo “scill’ecariddi”, lo Stretto di Messina. La sua Itaca è infatti un paesino di pescatori sulla costa messinese, difficile da raggiungere perché gli Alleati hanno affondato tutti i “ferribó” (ferry boats). Scendendo lungo la costa calabra incontra le “femminote”, contrabbandiere di sale e i “pellisquadre”, pescatori dalla pelle indurita dagli elementi che hanno perduto le loro imbarcazioni e sono costretti a cibarsi della carne maleodorante dei delfini, le “fere”. Una femminota che sembra dotata di poteri magici, Ciccina Circé, lo aiuta a traghettare incantando le fere col suono di una campanella.
Ogni incontro, ogni storia che il giovane ascolta apre ampi flash-back sulla sua vita prima e durante la guerra. Giunto al paese, ‘Ndrja rivede il padre Caitanello, ormai vecchio e isolato e Marosa, la ragazza che lo ama da tempo, insieme a tanta gente del paese, sofferente per i danni causati dalla guerra cui si aggiunge il timore dell’orca più grande e pericolosa, l’Orcaferone che minaccia il loro mare e i pesci da cui traggono sostentamento. Persuaso da un maltese al servizio degli Alleati che gli promette un grosso guadagno, ‘Ndrja si lascia convincere a partecipare ad una regata nel porto di Messina in competizione con equipaggi americani. Alla guida dei suoi giovanissimi compagni, gli “sbarbatelli”, il protagonista riprende il suo ritmo di voga, ma un proiettile esploso da una portaerei lo colpisce in fronte e ‘Ndrja muore là “dove il mare è più mare”.
Vero protagonista del lunghissimo racconto, il mare – come sempre – ha dato e ha tolto. Ha dato storie che echeggiano quelle di Omero, di Verga, di Melville ma che assumono altro spessore nella vicenda di ‘Ndrja; si è preso il protagonista che conclude, giustamente, fra le onde il proprio viaggio nella memoria e nel presente.
Recensione di Miranda Valsi
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