Il Libro del Mese: DIVA D’ACCIAIO Valentina Casarotto

Il Libro del Mese: DIVA D’ACCIAIO, di Valentina Casarotto (Gaspari)

 

Valentina Casarotto, Diva d’acciaio. Il caso Tamara de Lempicka

Cerco di vivere e creare in modo tale da imprimere sia alla mia vita sia alle mie opere il marchio dei tempi moderni” (Tamara de Lempicka)

Washington, 1938. La giornalista Clare Bryce, direttrice di “Vanity Fair”, collaboratrice di “Life” e di altre testate di fama, viene contattata da J. E. Hoover, direttore dell’FBI, per condurre un’indagine sulla celebre artista Tamara de Lempicka. La donna, infatti, ha da poco richiesto un visto turistico per gli Stati Uniti, in vista dell’allestimento per l’anno successivo di alcune mostre nel Paese. Hoover è convinto però che, dietro all’immagine di facciata, possa nascondersi una spia russa, viste le origini russe o polacche della donna e la liberazione del primo marito dalle carceri bolsceviche, liberazione a dir poco sospetta, avvenuta anni prima. Bryce viaggerà in Europa, raccogliendo, tramite numerose interviste, le testimonianze di chi l’ha conosciuta e ha fatto parte del suo entourage; la copertura che la accompagnerà sarà l’incarico di scrivere una biografia sull’artista. Nessuno saprà della sua missione, lei riferirà direttamente a Hoover, al suo braccio destro e alla sua segretaria.

Questo il prologo della vicenda che si dipanerà tra un’intervista e l’altra, in un continuo alternarsi di piani temporali: il presente, cioè gli anni 1938–1939, in un’Europa alla vigilia di un nuovo conflitto mondiale; il passato, dall’infanzia dorata di Tamara alla corte degli zar, al matrimonio da favola, dalla fuga rocambolesca a Parigi ai difficili inizi, fino al suo affermarsi sulla scena artistica e mondana internazionale.

Il romanzo è strutturato in modo che ogni capitolo sia incentrato attorno ad un’intervista e ad un momento specifico della vita di Tamara.

Il primo incontro di Clare avviene a Londra, dove il conte Carl Johannes Dahlberg, console a Pietrogrado al tempo della Rivoluziona russa, le racconta come avesse aiutato Tamara a fuggire dalla Russia e liberato il marito Tadeusz dalle prigioni bolsceviche; il secondo incontro avviene nel Devonshire con la principessa Winnaretta Singer de Polignac, che aveva conosciuto Tamara nei primi anni Venti a Parigi, dove la pittrice ben presto divenne un punto di riferimento della vita artistica, ma anche mondana, della città, e dove, consapevole del proprio successo, iniziò a costruirsi una sorta di personaggio dedito agli sfrenati divertimenti che la Ville Lumière offriva in quegli anni, così da aumentare la sua popolarità.

Per la terza intervista, Clare si sposta a Roma, dove incontra Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo, che ebbe modo di frequentare Tamara nei cafè più esclusivi dei viali di Montparnasse a Parigi; da Roma raggiunge Milano per intervistare il conte Emanuele Castelbarco, nella cui “Bottega di poesia”, Tamara espose le proprie opere nel 1925.

La scena si sposta quindi a Gardone Riviera, al Vittoriale, dove Clare ha modo di intervistare Amelie Mazoyer, autrice di un diario in cui racconta la vita quotidiana accanto al Vate; a Clare Amelie descrive il rapporto tra Tamara, che soggiornò al Vittoriale interessata a ritrarre lo scrittore, e D’Annunzio, che tentò invano di sedurla. La resistenza della donna, in un momento in cui una relazione amorosa con il Vate era considerato un passaggio obbligato per raggiungere la celebrità, ci dà la cifra del suo carattere e della sua personalità.

Dall’Italia, Clare raggiunge Berlino, capitale Terzo Reich, dove incontra e dialoga con Sonia Neuer, istitutrice presso la famiglia di Tamara a Varsavia, che ci fornisce la descrizione di Tamara bambina, agli inizi della sua passione per la pittura, per poi ricordare il suo trasferimento a San Pietroburgo e le serate mondane a contatto con l’aristocrazia russa, durante le quali conobbe l’avvocato Lempicki, suo primo marito.

A Nizza, Clare incontra la giornalista di moda Elsa Herzog, ebrea in fuga dalla Germania nazista; Elsa aveva conosciuto Tamara nel 1927 a Montecarlo, dove si erano date appuntamento per avviare una collaborazione: Tamara avrebbe realizzato dei dipinti che sarebbero diventati le copertine della rivista “Die Dame”, di cui Elsa era direttrice; l’autrice, in quest’intervista, ci fa conoscere, dalle parole di Elsa, la genesi del celebre dipinto “Autoritratto sulla Bugatti verde”.

L’ottava intervista è condotta nel settembre 1939 a Parigi, dove Clare incontra Nana de Herrera, celebre ballerina sudamericana, diva degli anni Venti, che Tamara aveva ritratto nel 1928 quando Nana aveva 23 anni e calcava le scene dei maggiori teatri parigini. Nana, posando per lei, le aveva fatto delle confidenze circa la propria relazione con il barone Kuffner, che già l’anno seguente sarebbe diventato il compagno di Tamara e poi suo secondo marito. Infatti, proprio mentre realizzava il ritratto di Nana, si andava consumando la fine del suo matrimonio, suggellata dalla pittrice con “Ritratto di un uomo incompiuto” dove la mano sinistra dell’uomo, quella con la fede al dito, scompare … Nana racconta anche come Tamara e Kuffner sarebbero diventati la coppia più glamour del momento.

Particolarmente interessanti risultano le ultime due interviste, in una Francia già in guerra – siamo infatti nell’autunno del 1939; la prima a Suzy Solidor, cantante e ballerina con cui Tamara aveva avuto una relazione e che aveva ritratto; la seconda e ultima a Colette Weil, che conobbe Tamara nel 1923, agli inizi della sua carriera, e con cui avviò una collaborazione che permise all’artista ancora poco conosciuta di esporre nella sua galleria parigina. Colette, sorta di mentore di Tamara, si sofferma sul rapporto tra la donna e la figlia Kizette, che aveva ritratto, ma che teneva “nascosta al mondo, trasferita da un collegio all’altro, come un prigioniero illustre” protetta “dalla vita anaffettiva e piena di eccessi della madre, una madre assente ed episodica, per la maggior parte impegnata in viaggi, serate e cene”. Colette conclude il proprio racconto, ricordando che, per tutti gli anni Venti e fino a metà anni Trenta, le vendite dei dipinti di Tamara erano state in costante ascesa, seguita da una flessione, durante la quale lei iniziò a soffrire di crisi depressive e cambiò i soggetti dei propri quadri: umili, diseredati, poveri, gli ultimi del mondo, una produzione lontana da quella di charme e dell’art déco che l’aveva resa famosa. A detta di Colette, il tour americano iniziato nel 1939 era legato alla capacità di Tamara di cogliere “il segno dei tempi”, come una sorta di anticamera al trasferimento definitivo lontano da un’Europa sconvolta dalla guerra, a siglare così la fine di un’epoca: “Tamara ha lasciato Parigi esausta, in preda ad una depressione cronica e priva di ispirazione, sperando che la sfida di conquistare un nuovo continente la facesse risorgere come una fenice.”

In questo bel romanzo, l’autrice ricostruisce la prima parte dell’esistenza avventurosa, spregiudicata e modaiola di Tamara de Lempicka, una ricostruzione in cui – per citare la stessa scrittrice – “arte e vita sono indissolubilmente legate”. La scelta di un racconto corale, tramite l’espediente dell’intervista ad amici e conoscenti, in cui il racconto è condotto attraverso il punto di vista di tante voci diverse, risulta originale e azzeccata, perché in linea con la personalità complessa e poliedrica dell’artista.

Un bel romanzo, consigliato a chi ama la Storia, l’Arte e le biografie al femminile.

 

Recensione di Valentina Ferrari

 

 

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