IL GIOCATORE INVISIBILE Giuseppe Pontiggia

IL GIOCATORE INVISIBILE Giuseppe Pontiggia Recensioni Libri e News UnLibro

IL GIOCATORE INVISIBILE Giuseppe Pontiggia

“Il giocatore invisibile” è stato un grande bestseller negli anni Settanta / Ottanta. Oggi è un libro demodé. Io l’ho trovato negli scaffali di una biblioteca di quartiere. Per quanto offuscato dalla grande quantità di scrittori e di libri che compaiono senza tregua nelle librerie e nelle biblioteche, sicuramente questo è uno di quei libri le cui qualità continuano a brillare. Si può senz’altro catalogare “Il giocatore invisibile” come un capolavoro di fine architettura letteraria e scelta oculata delle parole.

 

La storia è piuttosto semplice: un professore rinomato di filologia classica legge una lettera anonima sulla rivista “La voce degli antichi” nella quale viene attaccato per un’errata etimologia del termine ‘ipocrita’. La lettera lo ferisce profondamente in quello che è il suo punto forte: il senso della sua vita e dei suoi studi. Le parole sono il suo mondo e la lettera riesce a mettere in crisi quello che ha di più caro, non si tratta solo dell’etimologia di una parola ma delle sue convinzioni e dei suoi sentimenti.

IL GIOCATORE INVISIBILE Giuseppe Pontiggia Recensioni Libri e News UnlibroLa lettera fa crollare tutto il suo mondo. Chi l’ha scritta? E perché? Inizia, così, una ricerca ossessiva, che porterà il professore a vedere le persone per quello che sono realmente, lui compreso. Decide di rispondere alla lettera anonima e la sua vita si complica. All’università perde sempre più spesso la calma. I colleghi non gli danno tregua. Nella vita privata la moglie entra in crisi sentimentale, forse lo tradisce. La studentessa che frequenta non sembra essere interessata a lui, ma alla sua influenza per poter vincere un concorso di poesia. Anche gli altri personaggi che lo circondano si rivelano ambigui. E tutti potrebbero aver scritto la lettera.

Giuseppe Pontiggia non descrive mai nel dettaglio il protagonista. Il professore rimane una figura senza nome, incompiuta nei suoi particolari fisici e nei suoi risvolti psicologici. È un grande filologo, apprezzato nel mondo accademico, ma umanamente è l’opposto. La sua psiche è quella di un letterato, troppo attento all’uso giusto delle parole, alla filologia, alla purezza del senso passato delle parole perdendo la capacità di interpretare il senso attuale e così la capacità di leggere il presente.

 

Pontiggia riesce a tratteggiare la distanza fra il professore e i suoi allievi che interpretano le parole con la loro esperienza nel presente. Per questa ragione lui e la sua allieva non si capiscono: la ragazza è in cerca di una guida di pensiero e il professore non riceve da lei che consigli sterili.

«Parli molto di te con le parole degli altri. Andrà molto meglio quando parlerai agli altri con le parole tue. Ci vuole un po’ di tempo» (p. 189) Così cerca di spiegare alla studentessa la via da seguire, ma lei lo sente vecchio e lontano: «Sei come un lago morto. Ne ho visto uno l’altro autunno, non aveva un pesce. Ci credi ho pensato a te?» (p. 193) Rimane, dunque, un rapporto infelice, dove i reciproci interessi non s’incontrano mai. Anche in altri ambiti i rapporti umani del professore sono tutti limitati a quelli che sono i confini convenzionali del suo ruolo. I suoi amici sono filologi che “si odiano tra loro”.

 

L’ambiente accademico italiano risulta essere un luogo freddo e sterile, incapace di comprendere sentimenti e passioni. e questo porta gli studiosi a dimenticare anche la passione per la propria disciplina che un tempo li aveva motivati. Senza amore per la materia e per le persone il professore è condannato dal suo stesso genio alla sconfitta. La sua è una vita misera. Scoprire alla fine l’autore della lettera non sarà nemmeno una vittoria. Piuttosto un’altra sconfitta. Come in una partita a scacchi dove la perdita è quasi “offerta” dal giocatore. Il giocatore invisibile, di cui parla il titolo, non è solamente colui che scrive la lettera ma anche il professore stesso. È invisibile proprio come il suo avversario.

La speranza, nel romanzo, è affidata indirettamente alla parola stessa, come gli dice uno dei suoi stimati colleghi: «che tu credi al linguaggio. Il linguaggio serve per difendersi, per aggredire, per ingannare e ingannarsi, non per capire» (p.210) E forse qui racchiuso l’intento del professore che nel tentativo di capire le parole scritte finisce per non capire più le persone intorno a lui e le parole delle relazioni. Che di questo si dovrebbe nutrire in primo luogo l’essere umano. E l’ipocrisia s’insinua così da un’errata interpretazione etimologica in un’errata impostazione della vita basata sul tradimento e l’ipocrisia, appunto.

 

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