
IL FIORE DELLE ILLUSIONI, di Giuseppe Catozzella (Feltrinelli – ottobre 2024)

Quando mi chiedono qual è il mio genere di romanzi preferito non so mai cosa rispondere, ma di recente mi è stato suggerito che i miei “libri preferiti” si definiscono del “genere autoriale” e, ragionandoci su, questa definizione non solo mi è piaciuta ma sono riuscita ad aggiungere che mi piace il genere autoriale intimo Mi piace entrare in confidenza con il protagonista, capire i suoi pensieri, le sue riflessioni, le sue emozioni; mi piace accompagnare l’autore nel viaggio dentro se stesso – e farne io uno dentro di me – ponendoci entrambi domande universali. E questo libro mi sembra rispondere a questo genere e (anche per questo) mi è piaciuto.
Francesco, il protagonista, vive una vita divisa in due, fra due Italie molto diverse fra loro, la Milano nella cui periferia cresce come figlio di meridionali, e la Basilicata dove torna d’estate e dove la vita gli sembra più autentica. Da bambino e, poi, da ragazzo, a Milano si sente costretto, vive ai margini, sente il peso della rinuncia del padre ai propri sogni, peso che toccherà anche a lui un giorno; in paese, invece, tutto sembra eccitante, vero ed eterno: i nonni – nonna Luisa è la rimediante del paese – i campi e, soprattutto, il cugino Luciano, con cui munge vacche, pascola pecore, lavora la terra e sfreccia sulla Vespa rossa truccata, impara a fumare, a guidare la macchina, ad ascoltare il proprio corpo. Avevo l’illusione che niente si muovesse, che tutto sarebbe sempre tornato uguale all’infinito. Niente, mai, ci avrebbe ferito: le piante, la terra, le vacche, le capre, i cani, generando discendenza e morendo, avrebbero lasciato noi intatti. Noi salvi, per sempre. Con il tempo, però, le cose cambiano: Milano sarà il luogo in cui scoprirà l’amore e, grazie all’incontro con un professore-poeta, deciderà di coltivare il sogno di scrivere, grazie al quale forse questa frattura dei due mondi che si porta dentro potrà essere composta. La fedeltà di Luciano alle origini e alla solitudine della campagna, invece, si colorano di sofferenza.
Ho apprezzato lo stile intimo, diretto, poetico con cui l’autore racconta aspirazioni, fallimenti, lacrime e sorrisi che probabilmente, al di là della storia specifica, sono autobiografici.
Recensione di Stefania Biscione
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