IL CIMITERO DI VENEZIA Matteo Strukul

IL CIMITERO DI VENEZIA, di Matteo Strukul (Newton Compton)

 

 

“Il cimitero di Venezia” – Un viaggio tra brividi, broccati e… qualche sbavatura lagunare (Newton Compton)

L’idea di perdervi nella Venezia del Settecento tra Inquisizione, ghetti, vapori di vaiolo e misteri sussurrati sotto parrucche incipriate intriga più di una gita all’Ikea di sabato pomeriggio, “Il cimitero di Venezia” di Matteo Strukul ce ne dà l’opportunità. Altro che gondole e serenate: qui si rema in acque torbide, piene di sospetti, omicidi e nobilastri dal passato inquietante.

Protagonista (e qui viene il bello) non è il solito commissario stropicciato, ma nientemeno che Canaletto in persona. Sì, proprio lui, il pittore delle vedute veneziane, che stavolta posa il pennello per infilarsi nei panni, un po’ larghi, di detective improvvisato. Un suo quadro insospettisce l’Inquisizione, incuriosisce il Doge e insomma… mette in moto un’indagine che da estetica diventa politica, e poi quasi esoterica. Tutto molto tranquillo, insomma.

L’ambientazione è uno dei veri punti forti: Strukul ricostruisce una Venezia cupa, sfarzosa e marcia al punto giusto, dove i segreti si nascondono dietro ogni maschera e i pettegolezzi galleggiano come alghe nel Canal Grande. L’aria è piena di fumo, incenso e tensione: si respira poco, ma ci si appassiona parecchio.

I personaggi sono ben scolpiti (a volte letteralmente: sembrano statue di cera col vizietto). Canaletto funziona, ha i suoi tormenti, le sue domande e anche qualche lampo di coraggio. Intorno a lui, un carosello di figure ambigue, ognuna con la propria agenda e un segreto da tenere al fresco sotto la parrucca.

La scrittura è coinvolgente, anche se ogni tanto inciampa nei dettagli. In certi dialoghi si entra così nel merito delle porte, delle finestre e delle panchine che ci si aspetta, prima o poi, l’inventario del mobilio. Nulla di tragico, ma si sente il bisogno di togliere qualche pizzo.

Quanto al finale… arriva, si sistema, chiude i conti. Ma senza fare troppo rumore. Nessun colpo di scena da far cadere la maschera, piuttosto un’uscita in punta di piedi, come uno che ha finito il suo monologo ma non sa bene se il pubblico sta applaudendo o ha solo fame.

In sintesi: un libro godibile, con un’idea originale ben giocata, qualche lentezza e un buon margine di crescita. Non sarà il capolavoro assoluto, ma neanche da mettere in quarantena. E se ci sarà un seguito – e sembra possibile – io ci sarò. Magari con aspettative più calibrate… e un campanello d’allarme ogni volta che un personaggio comincia a descrivere un portone.

E comunque, per un cimitero, ci si diverte più del previsto.

 

Recensione di Vincenzo Anelli

 

 

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