GUANCIALE D’ERBA Soseki Natsume

GUANCIALE D'ERBA, di Soseki Natsume Recensioni Libri e News UnLibro

GUANCIALE D’ERBA, di Soseki Natsume

Recensione 1

Un titolo molto particolare di un grande scrittore del secolo XX, che considero tra i miei preferiti.

Un pittore si reca in una località termale alla ricerca di ispirazione: durante il soggiorno fa conoscenza con altri personaggi, tra cui una donna dal comportamento bizzarro, un monaco zen, un giovane destinato a partire per la guerra e un barbiere e con essi intrattiene lunghe conversazioni che sono uno spunto per l’autore per complesse riflessioni sull’eleganza, il senso dell’arte e il ruolo che essa debba avere nella società moderna.

Guanciale d'erba Soseki Natsume Recensioni Libri e News Unlibro

 

Ogni personaggio incontrato nel libro, inoltre, è latore più o meno consapevole di contraddizioni che pur in contrasto con l’idea dell’arte come equilibrio, affascinano il protagonista che riconosce in esse la complessità, tutta da indagare, dell’animo umano.

Il libro non ha una vera e propria trama ma gioca tutto sull’atmosfera sospesa, quasi incantata, dei luoghi visitati dal protagonista, così fuori dal mondo e dal tempo da apparire agli occhi del lettore come immagini dipinte, evocate sullo sfondo neutro della carta come le tipiche scene dell’arte orientale.

L’altro tema sul quale poggia il racconto è la ricerca dell’ispirazione, che si presenta alla mente e allo sguardo del pittore attraverso gli incontri lungo il cammino, senza mai soddisfarlo del tutto, almeno fino al momento in cui non prende in esame il ruolo dei sentimenti nella genesi artistica.

 

Non è una lettura di immediata presa ma, se affrontata con il giusto spirito, può avere grande fascino anche sul lettore occidentale, sicuramente meno abituato a questo genere di narrazione: è consigliato sicuramente agli appassionati di letteratura giapponese e a chi ama affrontare l’introspezione e la riflessione a carattere estetico.

Recensione di Valentina Leoni

Recensione 2

“È  stato pubblicato per la prima volta in Italia dalla casa editrice di Franco Battiato, L’Ottava; è stato riedito da Neri Pozza e la Beat.
È il romanzo prediletto di Glenn Gould (pianista tra i più grandi mai vissuti grazie alla tecnica eccezionale, alla sensibilità e all’assoluta modernità nella rilettura e interpretazione  dei classici).

Affascinata dal titolo che, come un calamita vicino al ferro, mi ha attratto per quel senso di serenità già nel solo pronunziarlo, ho intrapreso la lettura di “Guanciale d’erba” sdraiata comodamente, in una splendida e ampia veranda sotto una verde e folta fronde di abbacinante bellezza. Un libro del genere bisogna leggerlo nella quiete di una solitudine pomeridiana in un ambiente di tutto rispetto, mi sono detta convinta.

 

Così, nella serenità interrotta a tratti da un piacevole ed educato venticello del sud, ho percorso le pagine pronunziando indisturbata ogni singola parola; scandendo a voce alta le frasi elegantemente composte come se stessi rappresentando una scena teatrale di Kabuki: un’interpretazione di me stessa insieme al giovane artista, protagonista del libro. Volevo calarmi totalmente nelle vesti del giovane maestro delle arti e con lui percorrere il sentiero della conoscenza.

Ma come se fossi stata  cosparsa da nonsoché  il mondo di pulci me lo sentivo addosso e le mosche fastidiose mi ronzavano nei timpani, sicché infastidita, dopo qualche capitolo, ho chiuso il libro.

Non so spiegarmelo. Forse a causa del delicato quanto particolarissimo periodo della mia esistenza, la mia testa, affollata di pensieri disordinati, di volti in bianco e nero irrorati da spruzzi di colori indefiniti, immagini di ieri, oggi e ipotetici domani, non mi ha dato tregua. Non sono riuscita a concentrarmi e ho dovuto ripercorrere più volte parole, frasi e capitoli. Non sono riuscita a svellere l’inquietudine e potermi gustare la desiderata lettura.

 

Pur colpita dalla bellezza delle atmosfere magiche descritte nei paesaggi al limite del reale, non sono stata capace di sbloccare il mio pessimo stato d’animo. Mi sono fermata a riflettere: ecco, troppo coinvolta da sentimenti umani.

Rabbia, ira repressa, senso di impotenza, proprio come la bella Naomi dal volto indipingibile,  mi impedivano di  cogliere l’essenza delle cose, di provare sensazioni, comprendere il significato delle immagini e dei silenzi lungo il percorso nell’ameno sentiero di montagna, cosparso di fiori di loto e sgargianti camelie japoniche.

Anche perché c’è da sottolinearlo il romanzo da subito non da alcun accenno di trama, né si intuisce alcun sviluppo, del resto proprio come ogni singola esistenza su questa terra.

Risulta dalle prime pagine delicato, soave, spontaneo e innocente, di una bellezza scevra da orpelli e immune da affannose tecniche di attraenza poiché “completare è diminuire”, ingentilire e purificare:  proprio come dovrebbe essere il percorso  della vita di ognuno di noi.
Tuttavia ho continuato la lettura in una diversa location: una spiaggia baciata ardentemente dal sole, tra il rumore dello sciabordio delle onde soffocato da gridolii incessanti di infanti giocosi.

Ebbene, proprio lì stipata tra la gente chiassosa, drammaticamente umana, involgarita dal sudore, dalle risa isteriche e dai pianti infantili e da ogni forma di umano sentimento mi sono finalmente immersa nella lettura che quella ricercata quiete mi aveva impedito.

E lì nella baraonda estiva di una splendida spiaggia del “mio” sud ho scoperto il senso di tutta la lettura ossia la ricerca del sentimento della compassione verso tutta l’indistinta umanità. E quel forte sentimento compassionevole mi ha elevato al di sopra del tutto, guardandomi intorno.

 

Ho contemplato quell’insieme di materialità come un dipinto, l’ho letto come un rotolo di poesie: tanti punti tratteggiati che si agitano tanto, che si affannano convulsamente in uno sfondo egoisticamente naturale.

Sono rimasta placidamente seduta sul quel tappetto di sabbia non so per quanto tempo e nessuno si lamentava, né la sabbia, né il mare, né il cielo con il suo sole. Questa è la bellezza della natura,  ho pensato. Può rilevarsi a volte implacabile e crudele, ma, d’altronde non si mostra mai tanto incostante da ostentare disprezzo o disparità di trattamento. La virtù della natura trascende questo mondo volgare e impone un’illimitata, assoluta uguaglianza.
E la natura, estranea a ogni forma di interesse e profitto, in un attimo coltiva il nostro animo, lo purifica e lo conduce in un limpido mondo poetico.

Ed è in questa posizione di estraneità, con l’impressione di trovarmi in un libro di racconti illustrati, che ho scoperto l’essenza intangibile delle cose avvolta dall’indaco di una luminescente distesa di mare e sono riuscita a immortalare nella mia testa le sensazioni accumulate nei miei anni, riordinandole con tanto di note a piè pagina: sensazione filtrate,  esenti da pulviscolo che il tempo aveva accumulato; sensazioni nidite, limpide, pulite.
E ancora, nella massa informe dei corpi seminudi simili più a bonzi  che figli di dèi ho udito il vibrante suono dello shamisen proveniente da una cultura lontana,  trasportato dal vento con l’aiuto del mare.

 

Ho provato un’eccitata trepidazione quando la sabbia ha oscurato i miei occhi poiché ho percepito la sofferenza e con essa il coraggio ove si cela un piacere non umano di affrontarla e di vincerla, al di là della morte fisica.
Forse la vita – illusoria fiera di vanità – in sé non ha alcun valore se non quello di sognare e in questo siamo tutti indiscutibilmente artisti. Vivere è un percorso di crescita interiore, vivere è un’arte, quella sublime, unica, incorruttibile, indistruttibile, immortale. proprio quella che ci sorride enigmatica dalle labbra di Monna Lisa.

Ne consiglio la lettura affinché  si possa  rendere il mondo migliore.

“Leonardo da Vinci ebbe a dire a un suo allievo ‘Ascolta il suono di quella campana. La campana è una, ma il suono può sembrare infinitamente diverso’. Semplicemente, tutto può variare, a seconda di come si guardi”

 

Recensione di Patrizia Zara

 

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