GLI OCCHI DI SARA Maurizio De Giovanni

GLI OCCHI DI SARA M. De Giovanni

GLI OCCHI DI SARA, di Maurizio De Giovanni

Sara Morozzi, ex agente dei servizi segreti italiani ormai in pensione ed avanti negli anni, appare oggi con tutta evidenza una comune signora dai capelli grigi raccolti in una crocchia sulla nuca, tacchi bassi, dismessa e senza trucco, cela a chiunque lo ignori un passato come effettivo di polizia, impiegata in una struttura investigativa insolita e di particolare valore ed importanza.

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Sara Morozzi è per inciso anche il personaggio forse meglio rifinito e caratterizzato, il più difficile, tra quelli a firma di Maurizio De Giovanni. Lo scrittore napoletano ha creato dal nulla un personaggio nullo, un agente segreto nullo nell’aspetto, insignificante nell’apparire, silenzioso nel suo agire, e di questa scarsità e limitatezza è stato tanto abile da farne realtà, di scriverne pagine e pagine, delineando storie, ambienti, e protagonisti, sempre gli stessi raccontati anche a distanza di decenni, con luoghi identici dagli scenari mutati, con una capacità ed un talento incredibile. Ha delineato magistralmente sentimenti ed emozioni della sua eroina, mostrati in difetto ed in carenza, nascosti, celati come un buon agente segreto deve saper fare, un personaggio grigio, insipido, banale, appare così perché così vuole apparire, così deve essere, solo così è funzionale al suo ruolo.

Di questo grigio, di tale materiale insipido e banale, scialbo e insulso, De Giovanni ha fatto avventure, tragedie, tensioni, legami affettivi e cronache di vita reale. Ne ha tratto materiale per questo bel romanzo, dove ci racconta di ospedali pediatrici e di malattie senza scampo, della caduta del Muro di Berlino e del regime di Ceausescu in Romania negli anni Novanta, della vita, dei sogni, delle ambizioni e anche della disperazione di giovani stranieri in città per frequentare l’università, descrive la contemporanea visita a Napoli dell’allora Papa Giovanni Paolo II. Intanto che la storia si dirama avanti e indietro nel tempo su fatti e scenari lontani tra loro trent’anni, delineando l’intreccio inestricabile e talora beffardo, ma terribilmente reale, tra i destini di tutti quanti i coinvolti, De Giovanni unisce la vita privata e professionale della sua protagonista, perché è vero, è così, nella realtà pubblico e privato di ognuno sono avvinti e si influenzano a vicenda.

Pertanto, l’autore ci conduce con delicatezza e discrezione a visitare il cuore ed i sentimenti di una donna che lascia il marito e l’adorato figlio per amore, compie una scelta sentimentale radicale e definitiva come solo una donna sa fare, relativamente anche ai tempi retrogradi in cui compie la sua scelta. Lo scrittore napoletano ci strazia l’anima raccontando cosa significhi la perdita sia del compagno sia del figlio adorato, ci commuove raccontandoci cosa significherebbe perdere anche l’adorato nipotino di pochi anni afflitto da un male incurabile.

Se Sara Morozzi si presenta ancora particolarmente impenetrabile a qualche lettore, è perché l’invisibilità del personaggio è voluto, è il suo abito mentale per definizione.

Nel pieno della sua attività, l’agente era predisposta mentalmente e fisicamente ad essere invisibile, il suo compito era essenzialmente, e solo quello, di raccogliere informazioni.

Sara sente con l’orecchio non i suoni, ma le sinfonie della verità o le note stonate della menzogna; osserva con occhi chiari, occhi di ragazza, acuti e profondi che scandagliano oltre qualsiasi schermo o apparenza posticcia a captare il reale. L’agente segue il labiale, il linguaggio del corpo, la mimica, le espressioni, la postura, i tic ed i movimenti inconsulti ed involontari; si concentra sul sorvegliato non come una sorvegliante, semplicemente diviene l’aura di quello. Il corpo parla, Sara si sostituisce alla sua anima, e ascolta. In estrema sintesi, come Ricciardi, Sara Morozzi è un personaggio estremamente sensibile, “ascolta”, ma lo fa ancora meglio, De Giovanni questo suo “fatto” glielo fa fare veramente bene, magari proprio in virtù dell’ esperienza compiuta con il “fatto” del suo trascorso personaggio.

Semplicemente, Sara ha imparato, e nella sua città è un “fatto” particolarmente comune, che la gente non comunica solo parlando, ma gesticolando, accompagnandosi con ben altro che le sole parole, utilizzando tutto il corpo; Sara vede con occhi chiari e limpidi, di questo ascolto ne ha fatto un’arte. De Giovanni tutto questo lo raccoglie, lo scrive e ce lo riporta chiaro.

Recensione di Bruno Izzo
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