DUE LIBRI A CONFRONTO:
L’AMANTE DELLA REGINA VERGINE (PHILIPPA GREGORY) e LA REGINA E LO ZINGARO (CONSTANCE HEAVEN)
1) L’AMANTE DELLA REGINA VERGINE di Philippa Gregory, del 2006 e
2) LA REGINA E LO ZINGARO scritto nel 1977, da Constance Heaven, e pubblicato in Italia negli Oscar Mondadori, nel 1983 e, da ciò che mi risulta, finora mai più ristampato. Un bel romanzo, senza dubbio, che non indulge troppo sugli aspetti sentimentali della vicenda, ma equilibra egregiamente rispetto ai primi, anche quelli storico-politici.
Ho voluto scrivere anche sul libro della Gregory perché questa autrice ha un po’ distorto il personaggio della grande sovrana, rispetto a come invece ci è stato tramandato dalla storia, mentre il romanzo della Heaven, pur essendo quasi un parallelo di questo della Gregory, propone un’altra versione della vicenda, con un finale che va quasi in senso opposto del fatto storico realmente accaduto e risaputo da oltre cinque secoli.
Anche la descrizione caratteriale dei personaggi non coincide con quella dell’altra scrittrice. Poi ne spiegherò il perché.
Intanto diamo inizio al confronto.
I PERSONAGGI
Il romanzo della Gregory si apre con l’incoronazione di Elisabetta, alla morte della sorellastra Maria. Siamo nel novembre 1558 e l’Inghilterra è in un tripudio di gioia: ha finalmente avuto la sua regina, l’erede incontestata (dal popolo) del grande re Enrico. Ma lady Amy Robsart, bella e giovane moglie di lord Robert Dudley, non è felice per quella proclamazione, perché è proprio grazie a quell’evento che suo marito non è con lei. A causa di quella donna, Robert la ignorava ormai apertamente. L’augurio che, pertanto, Amy rivolgeva mentalmente alla nuova regina era che Dio la stroncasse in tutto: per averle usurpato l’affetto del marito, per aver riproclamato l’eresia e cancellato la vera fede restaurata dalla povera regina Maria…
Da queste poche righe si può chiaramente comprendere come i personaggi di entrambi i libri si comportino. Analizziamoli, quindi, uno per uno e iniziamo proprio da lui, l’oggetto della contesa tra le due donne: lord Robert Dudley.
Nel suo libro la Heaven spiega che nel 1549 Robert vede, per la prima volta, Amy Robsart, accompagnando il padre, lord John Dudley, in uno degli abituali giri di controllo di quest’ultimo, tenente generale delle forze armate, presso Syderstone, all’Alto Sceriffo del Norfolk e Suffolk, sir John Robsart, appunto, padre di Amy.
Robert ha quasi 17 anni ed è il terzo figlio maschio del potente e ambiziosissimo lord Warwick. È un ragazzo avvenente, alto e atletico, dai capelli scuri e ricciuti e l’incarnato olivastro, che lo rendono irresistibile agli occhi di tutte le giovani donne. Ed Amy non fa eccezione. Sarà, anzi, proprio questo colorito ad incantare, più tardi, Elisabetta, la quale, avvezza a dar soprannomi, lo chiamerà ‘the gipsy’, ‘lo zingaro’, incurante dello scandalo scoppiato a corte e in tutto il mondo che, allora, gravitava intorno all’Inghilterra.
Delle alle altre due protagoniste di entrambi i romanzi, Robert aveva conosciuto per prima Elisabetta, quando era ancora ‘la bastarda’, ‘la figlia della strega’, perché avevano passato del tempo insieme a studiare e ad esercitarsi con le danze, senza mai pensare alla piega che avrebbero un giorno preso le cose.
Per questo, la sera che egli udì, per la prima volta, cantare Amy, a Syderstone, ne restò affascinato e ammaliato dalla dolcezza della voce, oltre che dalla grazia innocente della ragazza, poiché lui stesso era un buon musico.
Poco tempo dopo, i due ragazzi convolarono a nozze, sfidando il tempo, l’età, le invidie di tanti, che avevano cercato di dissuaderli e, soprattutto, le differenze degli ambienti di provenienza: Robert, infatti, apparteneva alla spensierata vita di corte, mentre Amy apparteneva alla media aristocrazia di campagna, la quale viveva sempre appartata e veniva cresciuta ed educata con sani e robusti principi.
La graziosa Amy, figlia unica di sir John Robsart e della moglie, già vedova Appleyard con tre figli al seguito, era una ragazza con la testa fra le nuvole, ma niente affatto stupida: dolce e gentile, dalla bellezza delicata, piacevole e mai appariscente, Amy era la classica ragazza acqua e sapone.
Il motivo per cui Robert Dudley sia stato attratto da questa semplice bellezza viene attribuito alla passione, di entrambi, per la musica e per la magia creatasi la sera che si conobbero, che cospirò a loro favore.
Con Elisabetta, Robert, sin da ragazzini, ad Hampton Court, aveva studiato insieme sotto la guida dell’ultima moglie di re Enrico, Catherine Parr, e già allora pareva un demonio e litigava con lui come cane e gatto, aspettando che Mary, sua sorella, facesse da paciere. Non aveva più pensato a lei da molto tempo…
Alcuni anni più tardi, dopo il matrimonio con Amy e dopo la morte del giovane Edoardo VI, a causa dell’evolversi degli eventi, Robert sarà rinchiuso nella Torre dei traditori (a White Tower), lontano da Amy, e avrà modo di rivedere la principessa Elisabetta, fatta lì imprigionare, perché considerata pericolosa per il regno, e con cui inizierà un profondo idillio…
CHI NON VUOLE SAPERE IL SEGUITO NON LEGGA QUANTO SEGUE
Anni dopo, nel 1558, quando finalmente Elisabetta salì al trono, a 25 anni, Robert Dudley donò alla sua regina una splendida giumenta bianca, che la sovrana cavalcherà il giorno della sua incoronazione, sotto gli occhi di tutto il popolo esultante, quasi al fianco del suo ‘zingaro’, che montava, per contrasto, un focoso stallone nero.
Tutti erano in preda ad una gioia senza eguali. Tutti, tranne una giovane e graziosa donna, lady Amy Dudley, la quale sapeva e sentiva che l’altra le stava portando via il marito.
Alla povera Amy, in quello stesso periodo, stava accadendo qualcosa: da un po’ di tempo era iniziato a dolerle il petto; si sentiva molto più debole, le girava la testa ed era sempre meno capace di mantenere la calma, soprattutto di fronte alle dicerie sullo speciale rapporto di amicizia della giovane regina col suo avvenente Maestro dei Cavalli…
LE CASE
Più volte, Amy fu anche costretta a cambiar casa, perché Robert le propinava la scusa che non si addiceva alla moglie di un lord della corte reale, finché non approdò a Cumnor Place, quando lei ormai sapeva già, per sua stessa confessione, che era innamorato di Elisabetta e che pensava al divorzio!
Cumnor Place, un tempo, era stata un’abbazia, e, pur trovandola piacevole, Amy continuava a sentirsi ancora a disagio in quella dimora austera, senza riuscire a dare una spiegazione plausibile.
Era marzo e, finalmente, Amy aveva acconsentito a farsi visitare dal dottor Julio, un importante medico italiano, che godeva perfino della fiducia di sua maestà.
Il dottor Julio era un medico serio e qualificato, ma godeva anche della fama di buon conoscitore di veleni. Alcuni medici, da quando Amy aveva scoperto quel nodulo sotto il seno, si erano rifiutati di visitarla per paura di essere incriminati della sua eventuale morte, poiché correva anche voce che Robert Dudley volesse far avvelenare la moglie per sposare la regina.
Stando a ciò che entrambi i romanzi di Philippa Gregory e di Constance Heaven riportano, il dottor Julio non collaborò alla morte di Amy Robsart, perché il tipo di male da cui era affetta portava all’assottigliamento delle ossa del collo ed erano già molte le giovani donne che il medico italiano aveva visto morire, il più delle volte, non in modo naturale, ma a causa di una caduta accidentale e col collo spezzato. E lady Dudley presentava tutte queste caratteristiche!
Amy, dal canto suo, non fidandosi più del marito, depose le fiale, che il medico le aveva fatto recapitare, in fondo ad una cassapanca sotto la sua biancheria senza dire niente a nessuno e, sospettando Robert, in quel periodo in giro con la regina per un viaggio nel Norfolk e a Oxford, approfittò della fiera di Abingdon per restare sola, perché non si sentiva troppo bene. Esonerati quindi tutti dal farle compagnia per accudirla, la domenica mattina successiva lasciò partire la compagnia, compresa Jennet, la sua cameriera personale…
Più tardi il corpo di Lady Dudley fu rinvenuto da due servi rientrati per primi: Amy Robsart giaceva ai piedi della ripida scaletta di pietra (di sei-sette gradini), – che scendeva al pianterreno formando una curva -, con l’osso del collo spezzato, la gonna che copriva compostamente le gambe e il cappuccio ben sistemato sulla testa, simile ad una bambina graziosamente addormentata.
LE DUE TESI
È arcinoto, ormai, che la maggior parte dei sospetti ricadde sul marito di Amy, lord Robert Dudley, sul quale si vociferava che volesse in qualche modo togliere di mezzo la moglie per sposare la regina.
Fatalità? Suicidio? Assassinio? Ancora oggi, a distanza di oltre 500 anni, questo avvenimento è ancora avvolto nel più fitto mistero.
In ciascun romanzo si fa una congettura e si propone una tesi tra le quali la più verosimile, a mio avviso, risulta essere più credibilmente probabile quella della Gregory, contenuta in L’AMANTE DELLA REGINA VERGINE, a causa di alcune circostanze ben analizzate nel libro, che l’autrice stessa definisce “resoconto romanzato”.
Philippa Gregory ipotizza che Amy Robsart fu uccisa da qualche mandante ad opera di Elisabetta e del suo fidatissimo consigliere William Cecil, il quale, come tanti a corte, non vedeva di buon occhio l’influenza che Dudley aveva sulla regina, e la possibilità che questi potesse diventare re.
Ma causa di malcontento era soprattutto lo smisurato potere che il giovane favorito stava acquisendo presso la sovrana, a discapito di molti altri ambiziosi cortigiani che aspiravano a una qualunque promozione, pur di farsi notare. E questo Dudley, da come viene descritto dalla scrittrice, era piuttosto esigente e manipolava a proprio piacimento una giovane e ingenua regina che, tutto sembra, fuori che la scaltra, intelligente e colta Elisabetta che la storia ci ha tramandato.
Dalla penna della Gregory la figura di Elisabetta viene fuori come quella di una donnetta piagnucolante e sognatrice, che non pensa altro che all’amore e al suo amante; a soddisfare la vanità femminile con lussuosi vestiti, contornandosi, contemporaneamente, di artisti e musici, che la tenevano allegra e spensieratamente lontana dalla difficile realtà politica appena ereditata, dopo il disastroso regno di Maria, lasciando l’Inghilterra alla mercè di sé stessa e nelle mani di uomini più o meno in gamba come William Cecil.
Ne LA REGINA E LO ZINGARO, l’altro romanzo analizzato, Constance Heaven, invece, ci restituisce un’immagine di Elisabetta ancor più precisa e fedele di quella che ci ha tramandato la storia. È l’immagine di una donna forte, astuta e intelligente, completamente fuori dagli schemi dell’epoca. Troviamo, infatti, un’ Elisabetta fragile, ma pur consapevole del fatto che l’Inghilterra, ereditata alla morte della sorella, è una nazione politicamente ed economicamente provata, messa ulteriormente in ginocchio dall’inutile guerra con la Francia, che aveva solo prosciugato le casse dello stato e portato via l’ultimo dei sogni rimasti in terra francese, Calais, col suo prezioso approdo, ingresso in una nazione che continuerà ad essere nemica storica dell’Inghilterra.
Se fin qui la Heaven è stata molto più credibile della Gregory riguardo alla figura della sovrana inglese; lo è meno, a mio avviso, riguardo alla morte di Amy Robsart.
Pur seguendo un rigore storico ineccepibile, rispetto alla Gregory, la Heaven imputa la morte della giovane donna ad un suicidio volontario, per non esser più d’intralcio all’amore del marito, ormai definitivamente assente e perso per una rivale ben più potente e temibile.
L’autrice propone questa tesi in base alle “accuse non dimostrate… contro Robert nell’infamante Leyester’s Commonwealth; su una non comprovata accusa mossagli dal fratellastro di Amy, John Appleyard, sette anni dopo la morte di lei, e su indagini mediche più recenti” (p. 281).
Entrambe le tesi dei due romanzi scagionano comunque Dudley.
Infatti, la Gregory sostiene che il giovane favorito, essendo malvisto da Cecil, il consigliere di Elisabetta, era stato vittima di un raggiro da parte sua, con il beneplacito dell’amata, che si era lasciata finalmente convincere a non farsi più dominare da Robert e dai suoi sentimenti per lui. Ma sappiamo, dalle fonti dell’epoca, che Elisabetta era tutto fuorché una testa vuota e che non aveva certo bisogno di un marito per governare e prendere decisioni: lo dimostra il palese fatto che non intese mai sposarsi. Il suo sposo, sosteneva, era il trono d’Inghilterra e i suoi figli, il popolo che l’adorava. E questo la Heaven, ne LA REGINA E LO ZINGARO, lo descrive assai bene, pur imputando l’intenzione di uccidere la moglie di Dudley a qualche acerrimo nemico del gentiluomo, al fine di infangare la sua figura e di ostacolarne l’ascesa al trono. Che poi Amy Robsart sia morta volontariamente o meno, questa, ripeto, è una congettura della autrice.
CONCLUSIONI
E la storia tra Robert ed Elisabetta come andò a finire?
Entrambe le autrici rispondono a questo interrogativo in due modi diversi.
La Heaven lo fa inserendo un epilogo, alla fine del romanzo, datato 1588.
Elisabetta è barricata in camera sua per condividere unicamente con sé stessa, il dolore della perdita dell’ unico uomo che avesse mai amato. Dopo più di trent’anni e i tre matrimoni di lui – tra cui il più lungo proprio con la cugina di Elisabetta, l’avvenente e intraprendente Lettice Knollys – Robert, che le era rimasto fedele col cuore, pensò di inviare la sua estrema lettera (anche se solo un ringraziamento per le medicine che lei gli aveva inviato) a lei, la sola, la vera regina del suo cuore, sua maestà, la regina d’Inghilterra.
È storicamente accertato, infatti, che Elisabetta, il giorno che apprese la morte del favorito, si chiuse effettivamente a chiave nella sua camera da letto, con disperazione (e tanto rumore) dei cortigiani, i quali, da fuori, bussavano ansiosamente alla porta per farsi aprire poiché temevano, in primis William Cecil, un suicidio reale, cosa che la sovrana non ebbe mai intenzione di commettere. Li lasciò, invece, implorare da lì, mentre lei, ormai, avanti negli anni, riponeva con calma e mestizia, la preziosa missiva nel cofanetto d’oro vicino al suo letto, nel quale vi era deposto anche il ritratto di Robert da giovane. Ma prima di riporla vi scrisse su: “His last letter“, poi chiuso lo scrigno lo rimise dov’era sempre stato.
Alla sua morte, infatti, questa lettera fu trovata dove lei l’aveva lasciata e solo allora tutto il mondo fu certo dell’amore sincero che la grande sovrana nutrì per il suo bel favorito, pur amando farsi definire la regina vergine , a causa della sua perenne nubiltà.
La Gregory, invece, include si, questo particolare, ma lo fa mediante una postilla in cui spiega anche cosa l’ha portata a supporre la tesi sulla morte di Amy Robsart, grazie alla ricerca storiografica che ha condotto.
Bibliografia
– L’AMANTE DELLA REGINA VERGINE, Philippa Gregory, Sperling & Kupfer.
– LA REGINA E LO ZINGARO, Oscar Mondadori
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