Due libri a confronto: CATERINA COSTA. La nave dei misteri Marco Liguori – IL MARE NON BAGNA NAPOLI Anna Maria Ortese

Due libri a confronto: CATERINA COSTA. La nave dei misteri, di Marco Liguori  – IL MARE NON BAGNA NAPOLI, di Anna Maria Ortese

 

 

 

Il saggio storico “Caterina Costa, la nave dei misteri” di Marco Liguori può avere un aggancio a un famoso classico della letteratura. Anzi, per meglio dire può essere un «nano sulle spalle di un gigante» per dirla con il celebre aforisma di Bernardo di Chartres. È “Il mare non bagna Napoli”, una raccolta di racconti di Anna Maria Ortese pubblicata nel 1953, un anno dopo l’elezione di Achille Lauro a sindaco, che ha descritto volti, personaggi e situazioni della città del dopoguerra. In particolare, il libro di Liguori ha un legame con il paragrafo “La città involontaria” della Ortese: in quest’ultimo la scrittrice racconta quell’autentico inferno dei vivi che era il III e IV Granili, un enorme edificio costruito alla fine del ‘700 dall’architetto Ferdinando Fuga, collocato sulla costa della periferia orientale napoletana, ed era dapprima adibito a deposito di vettovaglie, poi a carcere, a ospedale per l’epidemia di colera del 1836, e anche a caserma.

Vi alloggiavano, o meglio erano accampate, numerose famiglie che avevano perso la casa durante la Seconda Guerra Mondiale: l’edificio aveva subito gli effetti della devastante esplosione del mercantile “Caterina Costa”, oltre che dei bombardamenti aerei degli Alleati, e molto probabilmente ospitava alcuni napoletani che proprio a causa di quel disastro non avevano più trovato un posto dove rifugiarsi a 10 anni dalla tragedia del mercantile e a otto dal termine del conflitto. Il titolo “La città involontaria” non è messo a caso: è dedicato a coloro che involontariamente e non certo per propria colpa si erano trovati in quel palazzone dove svolgevano una vita allucinante, al di fuori delle condizioni del vivere civile.

 

 

La scrittrice ne fornisce una descrizione nelle prime righe: «L’aspetto, per chi lo scorga improvvisamente, scendendo da uno dei piccoli tram adibiti soprattutto alle corse operaie, è quello di una collina o una calva montagna, invasa dalle termiti, che la percorrono senza alcun rumore né segno che denunci uno scopo particolare». E aggiunge particolari che fanno comprendere l’orrore di quel luogo: «Ho potuto contare centosettantaquattro aperture sulla sola facciata, di ampiezza e altezza inaudite per un gusto moderno, e la più parte sbarrate, alcuni terrazzini, e sul dietro dell’edificio, otto tubi di fognatura, che, sistemati al terzo piano, lasciano scorrere le loro lente acque lungo la silenziosa muraglia». L’enorme edificio è composto da tre piani debolmente illuminati con 348 stanze. «In ognuno di questi locali sono raccolte da una a cinque famiglie, con una media di tre famiglie per vano. Il numero complessivo degli abitanti della Casa è di tremila persone, divise in cinquecentosettanta famiglie, con una media di sei persone per famiglia».

La Ortese sarà accompagnata in questa serie di gironi infernali da una donna che vi abitava, Antonia Lo Savio, che descrive così: «Non era che un enorme pidocchio, ma quale grazia e bontà animavano gli occhi suoi piccolissimi».

Le condizioni delle stanze? Ecco un resoconto breve della Ortese, ma che ne fa comprendere cos’era quell’ambiente al di là del bene e del male: «A piede di un materasso disteso per terra, c’erano delle croste di pane, e in mezzo a queste, muovendosi appena, come polverosa lanugine, tre lunghi topi di chiavica rodevano il pane». È solo un esempio dell’assurdità delle condizioni di vita ai Granili, ma è molto eloquente. Nel novembre del 1953, anno di uscita de “Il mare non bagna Napoli”, che valse alla Ortese il Premio Speciale Viareggio per la narrativa, iniziò la demolizione di quell’orrore collocato alla periferia orientale di Napoli. Le famiglie che vi erano accampate furono trasferite nelle nuove case popolari che in quegli anni si stavano costruendo proprio alla periferia orientale: Barra, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio, nonostante gli interventi del Comune di Napoli per la riqualificazione di questi quartieri, restano luoghi di emarginazione e di povertà. Invece, l’area dei Granili è attualmente occupata dalle attività portuali e in particolare dal raccordo interno che collega il porto alle autostrade. Chissà cosa scriverebbe oggi Anna Maria Ortese su tutto questo?

 

 

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