**Donne di carta, donne di ferro: un filo rosso tra storie e protagoniste**
C’è chi sostiene che la letteratura sia lo specchio della società. Sarà. A me, che negli ultimi tempi mi sono ritrovato a leggere un filotto di libri scritti da donne e con donne come protagoniste, sembra piuttosto un palcoscenico dove loro, finalmente, prendono il microfono e non lo mollano più. Io, uomo lettore, sono rimasto in platea a guardare: un po’ affascinato, un po’ intimidito, e ogni tanto con la sensazione che, se mi fossi trovato dentro una di queste storie, sarei finito relegato al ruolo di comparsa, magari quello che porta le valigie.
Memoria, parola e giardino (non necessariamente in quest’ordine)
Partiamo da chi affida la propria identità alla memoria e alla scrittura. “La porta” di Magda Szabò non racconta semplicemente un rapporto tra due donne: è un corpo a corpo emotivo che sa di duello medievale, fatto di amore e rancore, fedeltà e odio viscerale. È la prova che, se mai mi azzardassi a sottovalutare la forza della memoria femminile, potrei ritrovarmi infilzato peggio di un cavaliere senza armatura.
Con “La libreria sulla collina“, Alba Donati ci porta invece in un borgo dove i libri non fanno arredamento ma resistenza. Ogni volume sugli scaffali è una barricata contro l’oblio: altro che i miei scaffali pieni di gialli storici, qui il libro diventa arma. Pia Pera, con “Al giardino ancora non l’ho detto“, fa un passo oltre: persino nella malattia terminale riesce a coltivare libertà. Io, che a volte non riesco nemmeno a tenere viva una piantina di basilico, rimango ammirato.
Resistenza in bicicletta, con Leica o con bombe
Quando la Storia irrompe con la brutalità delle guerre, le protagoniste non restano a guardare. In “Liberazione” di Imogen Kealey, Nancy Wake combatte i nazisti, la paura e se stessa, con la condanna a morte addosso come fosse un foulard.
In “La ragazza con la bicicletta rossa” ogni pedalata è un atto di sfida: correre più veloce della persecuzione, con il rischio che una curva sbagliata sia l’ultima. Io, che vado in bici solo la domenica, improvvisamente mi sento un po’ ridicolo con il caschetto.
In “La ragazza con la Leica“, invece, ogni scatto è un gesto politico: non solo memoria, ma sabotaggio vero e proprio alla propaganda. Pensare che per me il massimo della ribellione fotografica è scattare senza filtri.
Eppure, se ci rifletto, questa resistenza non è poi così lontana da quella di Plautilla Bricci ne “L’architettrice“: anche lei costruiva per opporsi all’invisibilità. Mattoni, biciclette, macchine fotografiche: strumenti diversi, stesso coraggio.
Architetture, profumi e altre rivoluzioni creative
Non tutte le battaglie si combattono con bombe o proclami: alcune si vincono con la bellezza. Plautilla osa firmare edifici quando la società l’avrebbe voluta murata viva nella domesticità. Ogni sua colonna è una dichiarazione d’indipendenza.
Lo stesso vale per “Le ragazze dell’atelier dei profumi“: due imprenditrici in un mondo che non le voleva nemmeno in bottega, che trasformano fragranze in vessilli. Io, uomo distratto, che scelgo il dopobarba in base all’offerta al supermercato, qui mi rendo conto che un profumo può essere una bandiera di libertà.
Erranza, appartenenze e mezzo sole giallo
Poi ci sono le protagoniste che incarnano la ferita e, insieme, la sopravvivenza. “L’ebrea errante” di Edgarda Ferri attraversa secoli di persecuzioni, diventando emblema di un’identità fragile e indistruttibile al tempo stesso.
In “Metà di un sole giallo” di Chimamanda Ngozi Adichie, le donne non combattono solo la fame e la guerra, ma tengono in piedi famiglie e comunità con una forza viscerale, disperata, materna. Io, davanti al frigorifero vuoto di casa mia, capisco che la mia idea di “sopravvivenza” è ben poca cosa.
Un coro di resistenze
Che siano scrittrici italiane, ungheresi, africane o anglosassoni, queste autrici hanno puntato i riflettori su un fatto tanto ovvio quanto dimenticato: senza le donne, la Storia risulta monca. Non è un caso che le protagoniste siano sempre “donne che resistono”: resistono al silenzio, all’anonimato, ai destini imposti. E resistono perfino alla tentazione di fare da comparse nelle proprie vite (tentazione che, ammettiamolo, agli uomini capita assai più spesso di quanto pensino).
In fondo, il filo rosso che lega queste letture è chiaro: la libertà femminile non è mai un regalo, ma una conquista quotidiana. Talvolta con una penna, altre con una Leica, un giardino, un progetto architettonico o un flacone di profumo. E, se serve, con una bicicletta rossa che sfreccia più veloce della Storia.
Io, intanto, resto in platea: applausi convinti, e un po’ di sana invidia.
Di Vincenzo Anelli


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